Le ragioni per cui Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens e Virgilio Marrone sono stati assolti dalla accusa di aggiottaggio sono contenute nella motivazione della sentenza scritta dal giudice Giuseppe Casalbore del Tribunale di Torino. Casalbore scrive che “non è rilevabile alcuna evidenza concreta e oggettiva che il comunicato diffuso in data 24 agosto 2005 da Ifil spa possa aver creato un pericolo per l’andamento del prezzo del titolo Fiat”.
Gabetti, Grande Stevens e Marrone e con loro le società Ifil Investments e Giovanni Agnelli & C. erano imputati di aggiotaggio informativo, in violazione dell’articolo 185 del testo unico della Finanza. La sentenza, di primo grado, con cui il Tribunale di Torino li ha assolti risale allo scorso 21 dicembre. Il sostituto procuratore Giancarlo Avenati Bassi, che ha rappresentato l’accusa, dovrà ora decidere se presentare appello.
Nel comunicato diffuso nell’agosto del 2005 su richiesta della Consob, Ifil – holding della famiglia Agnelli che deteneva una quota del 30% in Fiat – affermava «di non aver intrapreso né studiato alcuna iniziativa in relazione alla scadenza del prestito convertendo» – prestito concesso a Fiat da otto banche nel 2002 e la cui conversione, 20 giorni dopo, avrebbe fatto scendere la quota Ifil al 22 per cento. In realtà già nell’aprile di quell’anno Exor (un’altra società del gruppo Agnelli) aveva stipulato con la banca americana Merrill Lynch un contratto di equity swap avente per oggetto azioni Fiat e che in caso di consegna fisica sarebbe stato in grado di garantire a Ifil il mantenimento del controllo di Fiat. Secondo il giudice Giuseppe Casalbore, che ha redatto le motivazioni della sentenza – «non si può minimamente revocare in dubbio che il comunicato sia falso».
«La notizia diffusa (…) è totalmente falsa perché il gruppo non solo da mesi aveva studiato la soluzione al problema del mantenimento della propria quota di partecipazione in Fiat, ma aveva anche nella propria disponibilità giuridica l’esatto numero di azioni disponibili a questo fine, con l’unica incognita della risposta della Consob al quesito proposto dall’avv. Grande Stevens».
Secondo Casalbore, però, non basta la falsità delle dichiarazioni a provare la violazione dell’articolo 185: l’accusa avrebbe dovuto dimostrare, se non un impatto oggettivo sulle quotazioni, quanto meno il fatto che sia stato «concretamente provocato il pericolo di alterazione del prezzo di strumenti finanziari»; in altri termini, «più complesso è il passaggio dal giudizio di astratta pericolosità a quello di pericolosità in concreto». In queto caso invece «si può fondatamente ritenere che il comunicato (…) non ha prodotto in concreto neppure quel “disturbo” per il mercato finanziario, riscontrato invece in astratto dalla Corte di Appello di Torino ed attestato nelle sentenze prima richiamate».
La sentenza attribuisce al comunicato «una intrinseca valenza rialzista, in quanto effettivamente avrebbe potuto contribuire ad alimentare e rafforzare l’idea di contendibilità di Fiat». Ma il rialzo non si è però concretizzato, anzi: se le sedute precedenti al 24 agosto avevano visto forti impennate del titolo, proprio la seduta del 24 aveva visto invece – affermano i periti – «una reazione blanda, pressoché neutra». Proprio la sostanziale assenza di reazioni, dunque, e il fatto che «il mercato ha finito per ignorare il comunicato in questione», dimostrano in sostanza secondo il giudice l’assenza di pericolo derivante dal comunicato.
Secondo il Tribunale, tuttavia, il comportamento degli imputati non è esente da critiche: “L’astratta e intrinseca pericolosità del comunicato, dipendente dalla falsa notizia che è stata diffusa, risulta già sanzionata sul piano amministrativo a norma dell’articolo 187-ter del Tuf”. In base a tale norma la Consob nel 2007 ha sanzionato (con provvedimento poi confermato nel 2009 in Cassazione) gli stessi tre imputati e le due società con multe per complessivi 6,3 milioni e a sospensioni dagli incarichi societari.