TARANTO – L‘Ilva può tornare ad utilizzare gli impianti dell’area a caldo, dissequestrati con il decreto del Governo ma tutti i prodotti finiti già lavorati prima del 3 dicembre restano confiscati. Tra politica (il decreto del Governo) e magistratura, la situazione all’Ilva è questa: riparte la produzione con le cautele imposte dai magistrati, restano a terra migliaia di pallet (i bancali di legno) pieni di bobine d’acciaio, laminati, lamiere destinati alla vendita. E in un settore che lavora con il modello “just in time”, cioè senza scorte, la penuria di beni prodotti avrà un impatto devastante.
“La mancanza di acciaio in misura così rilevante avrebbe effetti pesanti e costosi per intere filiere di trasformazione”, afferma Sergio Cofferati su Blitzquotidiano. A cominciare dagli stabilimenti di Genova-Cornigliano, con tutti i rischi per i possibili risvolti sociali, per i quali le prefetture sono già in stato di allarme. Facciamo il punto sulla vicenda, in attesa che il Gip si pronunci oggi (6 dicembre) sulla questione capitale dello sblocco della confisca sui prodotti.
Dopo poco più di quattro mesi l’Ilva torna materialmente in possesso degli impianti dell’area a caldo sequestrati il 26 luglio nell’inchiesta per disastro ambientale, ma la situazione in fabbrica resta a dir poco problematica. La Procura ha restituito gli impianti all’azienda, applicando quanto indicato nel decreto legge varato il 3 dicembre, precisando che resta fermo il vincolo del sequestro. Ma ha detto ‘no’ alla richiesta aziendale di riavere anche i prodotti finiti e semilavorati (1.800 tonnellate) pronti per essere commercializzati e giacenti sulle banchine dell’area portuale, sequestrati il 26 novembre.
“La legge non è retroattiva” hanno scritto i pubblici ministeri, ricordando che quei beni sono stati prodotti ‘contra legem’ e sono frutto di reato. Il parere negativo è stato girato al gip Patrizia Todisco che dovrà decidere nelle prossime ore. Ma intanto all’Ilva è emergenza per gli approvvigionamenti, che scarseggiano, mentre in rada i mercantili attendono di imbarcare prodotti finiti o di scaricare materie prime. Ogni giorno che passa per l’Ilva è una ferita aperta in più, con le controstallie da pagare agli armatori per le soste delle navi che si protraggono e la produzione che stenta a decollare.
L’Area Imbarchi, peraltro, è tra le più danneggiate dal tornado del 28 novembre: alcune gru sono fuori uso, il quarto sporgente è sotto sequestro per l’incidente costato la vita ad un operaio nel giorno del tornado. Tutto questo è stato oggetto di un incontro azienda-sindacati protrattosi fino a sera: l’autonomia produttiva del colosso siderurgico è di meno di una settimana, nello stabilimento di Genova (area a freddo) ancora meno. Le prefetture delle due città sono preoccupate per possibili ripercussioni sul piano sociale e dell’ordine pubblico.
A scaldare gli animi, oggi, anche un incidente in fabbrica: un operaio ha riportato contusioni ed è stato condotto in ospedale per accertamenti dopo essere rimasto coinvolto in uno scontro tra due mezzi di una ditta dell’ appalto, uno sky e una gru semovente. L’unica buona notizia per l’azienda, nelle ultime ore, forse resta quella della reimmissione nel possesso degli impianti sequestrati. Una circostanza “assolutamente normale” l’ha definita il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, per il quale “i magistrati stanno applicando la norma, non c’e’ nulla di straordinario”, ed ha aggiunto che, in questa normalità, rientra anche il fatto che lui stesso “attiverà quanto previsto per monitorare il rispetto degli impegni da parte dell’Ilva”. Ma non si placano neppure le polemiche sul decreto legge del governo.
Oggi, in apertura di plenum del Csm, alcuni consiglieri togati hanno espresso “perplessità” sul decreto, sollecitando una presa di posizione da parte del Consiglio, frenata dal vicepresidente Michele Vietti. “Noi vogliamo credere che l’invito a rispettare la legge fosse rivolto non alla magistratura che rispetta e fa rispettare le leggi, ma a coloro che la legge non l’hanno rispettata” ha sottolineato il presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli, riferendosi a Clini che ieri aveva richiamato tutti al rispetto delle leggi. La Procura di Taranto si prepara però ad altre mosse. La prima potrebbe essere quella di sollevare dinanzi alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sul contenuto del decreto legge governativo.
A seguire, ma bisognerà trovare la cosiddetta ‘fase incidentale’ in cui proporla, potrebbe essere avanzato dinanzi ad un giudice il dubbio di costituzionalità di una parte di quelle norme. E’ tutto allo studio al terzo piano del Palazzo di Giustizia, ma si lavora in fretta. In città oggi un centinaio di ambientalisti ha manifestato sotto la sede della Prefettura, mostrando il testo della Costituzione a loro dire violata dal decreto del governo, e leggendo con un megafono alcuni passi della Carta; poi è stato consegnato un documento al prefetto, Claudio Sammartino. “Sequestrare se serve i beni della famiglia Riva” e un “intervento pubblico, non per forza nel senso classico della partecipazione dello Stato” è la ricetta indicata da Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, per salvare l’Ilva. Per le segreterie provinciali di Cisl e Fim l’azienda “non ha più alibi” e quindi “deve investire proprie risorse finanziarie, per le quali si è anche impegnata con il governo”.