ROMA – Lo studio della riforma fiscale parte dall’evasione, come a dire che il progetto che il ministro Tremonti sta mettendo a punto non potrà prescindere dall’inasprimento di controlli e misure per recuperare soldi e far sì che la manovra, se non “a costo zero”, sia almeno a basso impatto sui conti pubblici. Il ministro ha commissionato uno studio ad alcuni esperti bipartisan che ora hanno tirato le prime somme fotografando l’evasione nel nostro Paese.
L’immagine colta dagli esperti dice che l’evasione è concentrata soprattutto su lavoratori autonomi-imprenditori e su proprietari di immobili dati in affitto. In particolare, rispetto ad un tasso medio di evasione del 13,5%, gli autonomi-imprenditori dichiarano il 56,3% in meno, celando al fisco ben 15.222 euro a testa. Il vero record di evasione lo detengono i rentier, ossia chi possiede un immobile e lo dà in affitto: l’83,7%, pari al 17.824 euro pro-capite. I pensionati invece versano il 7,7% in più. A livello globale l’evasione media si attesta sui 2mila euro pro-capite, con differenze territoriali. Al centro il “tax gap” è di 2.936 euro, pari al 17,4%; al Nord di 2.532 euro, pari al 14,5%. Più basso invece al Sud: si attesta al 7,9%, pari a 950 euro di redditi Irpef evasi a testa.
L’economia sommersa in Italia vale da un minimo di 255 ad un massimo di 275 miliardi di euro ed è dovuta per il 37% a lavoro non regolare. Conferma le stime già diffuse dall’Istat sul sommerso nel 2008 il rapporto finale di uno dei gruppi di lavoro sulla riforma fiscale. Il voluminoso rapporto dedica ampio spazio all’economia in nero, spiegando che però i suoi valori non possono essere direttamente riferiti come evasione fiscale perché, a seconda dell’imposta, il ”tax gap”, cioè la differenza tra reddito e imponibili fiscali, tende a cambiare. I dati sul sommerso, riferiti al 2008, sono però la base di partenza per tutte le elaborazioni successive. In particolare viene calcolato che una quota del 55,6% del sommerso (153 miliardi) è riferibile alla ”correzione del fatturato e dei costi intermedi”, mentre il 37,2% (102 miliardi) al lavoro non regolare.
Ci sono poi 19,6 miliardi indicati sotto la voce ”riconciliazione stime offerta e domanda”. Dai dati emerge che la quota di sommersa dovuta al lavoro irregolare è diminuita nel tempo: passando dal 39,5% del 2000 al 37,2% del 2008. La ripartizione del sommerso vede la quota maggiore di ”nero” celarsi nel settore che assorbono 212,9 miliardi, contro i 9,2 miliardi dell’agricoltura e i 52,8 miliardi dell’industria. Ma, rispetto al ”valore aggiunto” dei singoli settori, in agricoltura la quota di sommerso è pari al 32,8% del totale, mentre scende al 20,9% nei servizi e al 12,4% nell’industria.