ROMA – Per le case affittate, l’aliquota Imu ordinaria produrrà aumenti fino al 240% rispetto all’Ici sui contratti a canone libero. Il Sole 24 Ore propone una simulazione per un proprietario di alloggio con rendita catastale di 650 euro. Il 18 giugno dovrà pagare un acconto di 395,20 euro, mentre nei Comuni che applicavano l’Ici allo 0,5% se la cavava con 162,50 euro e nei più numerosi Comuni che applicavano l’aliquota allo 0,7%, pagavano 227,50%. Ma la stangata vera arriverà in sede di saldo finale, quando si faranno i conti con gli eventuali rincari sulle aliquote decisi dai Comuni. Pochi saranno i sindaci che si discosteranno dall’aliquota all’1,06%: il totale alla fine dell’anno sarà quindi di 1102,40 euro contro un importo compreso tra i 325 e i 455 euro dell’Ici che fu.
Complicazioni ulteriori. A dicembre sarà difficile compilare da soli la ripartizione tra ciò che va allo Stato e ciò che va al Comune (due righi diversi e dedicati nel modello 24 con ci codici tributo 3918 e 3919). Si dovrà ricalcolare la quota erariale secondo l’aliquota dello 0,38% e fare il conguaglio della quota municipale alla luce dell’aliquota comunale. Pochi comuni riusciranno a ridurre l’aliquota allo 0,4% sugli immobili locati, ma comunque lo Stato esigerà quanto programmato: spiega il Sole 24 Ore, “se il gettito dell’Imu calcolata applicando l’aliquota base nazionale è 1000, la quota erariale (cioè destinata allo Stato ndr.) sarà sempre 500 anche se il Comune dovesse ridurre a 800 l’imposta dovuta”.
I termini per la consegna del 730 è stato posticipato al 16 maggio mentre quello per la presentazione ai Caf passa al 20 giugno. I milioni di contribuenti che utilizzano commercialisti, Caf o privati, si vedranno recapitare i conti entro il 2 luglio, due settimane dopo la scadenza dei termini per l’acconto Imu. Facendo due conti i redditi inferiori a 28 mila euro saranno i più gravati dalla rivoluzione delle imposte immobiliari sulle case affittate. Il rincaro Imu è in grado di rosicchiare praticamente tutto il risparmio sulla scelta della cedolare secca, scelta peraltro non sempre percorribile e svantaggiosa economicamente perché chi opta per questa soluzione rinuncia all’aggiornamento Istat del canone. Non è tutto: con la riforma del lavoro entreranno a regime le riduzione dal 15 a 5% della deduzione forfettaria del canone, per chi non ha scelto la cedolare secca. Un rincaro che si avvertirà nel 2013 ancor più sensibile per chi non accede all’imposta sostitutiva.