ROMA – La burocrazia uccide l’impresa se per dare una ripulita all’intonaco di uno stabilimento servono tempi biblici, perizie, relazioni tecniche, una girandola di bolli e timbri senza fine. Anni di attesa, quintali di carta, immotivati rifiuti frustrano l’attività imprenditoriale con i capi azienda spesso costretti ad aggirare norme insensate quando va bene, oppure a emigrare quando va male. Quando non sono costretti a mettere a bilancio perdite considerevoli e la rinuncia a investimenti produttivi. Il Sole 24 Ore ha raccolto un buon numero di storie emblematiche allestendo addirittura un servizio online per le segnalazioni.
Per una mano di bianco. Il signor Livio Sandri, titolare dell’azienda di famiglia che produce infissi da generazioni racconta di quella volta che si mise in testa una “strana” idea. Ritinteggiare di bianco la nuova sede. Posizionato sull’argine del fiume Adige, sulla statale del Brennero, il capannone sta in piedi da decenni. Una volta accordatosi con il pittore, fatto il preventivo, mentre percorre in macchina quelle strade gli viene uno scrupolo: non è che devo chiedere qualche permesso? La collaboratrice allertata chiama il Comune. Sì, serve l’autorizzazione. Siccome l’Adige è una zona di rispetto serve la richiesta alla Sopraintendenza ai Beni Culturali di Verona. 20 giorni è il tempo che ci vuole per avere una risposta, sempre che la Sovraintendenza intenda darla. Quindi va inviata all’ufficio tecnico del Comune, che dispone di altri venti giorni per esprimersi. Il tutto va accompagnato da una perizia del geometra e una foresta di valori bollati. Riunione straordinaria al Cda della Sandri Serramenti: a voto unanime si delibera che senza indugi la mano di bianco verrà data. Sarà giustificata come ripulitura dell’intonaco. Bianco era e bianco tornerà.
Un parere non richiesto. Filippo Ceccarini conduce una piccola azienda in Umbria che installa impianti di piccola cogenerazione per la produzione di energia elettrica. La legge situa queste aziende in un regime autorizzativo semplificato. Talmente semplificato che per installare un impianto in una zona agricola non sottoposta a vincoli artistici o paesaggistici dovrebbero volerci appena tre mesi. La dichiarazione viene presentata il 20 gennaio 2012. Dal 6 marzo al 26 luglio vengono indette ben 6 conferenze dei servizi con 12 enti locali. All’ultima conferenza, la Sopraintendenza, che non ha mai partecipato, non ha titolo a parlare perché non esistono vincoli, dà parere negativo. Procedimento bloccato lo stesso e inviato a Roma per dirimere la questione. Questione che non sussisterebbe visto che è prevista l’adozione in base al criterio della “opinione prevalente”. Quando viene chiesto alla Sopraintendenza di rivedere il suo convincimento questa fa opposizione e chiede una ulteriore integrazione progettuale. Nel frattempo, la procedura semplificata è arrivata a 270 giorni dall’inizio della vicenda. Chi conduce l’azienda “progetta scientificamente di lasciare il Paese”.
Il prestito d’onore. Diego Blasi ci rammenta il fallimento del cosiddetto “prestito d’onore”, a suo tempo gestito da Sviluppo Italia per favorire lo sviluppo d’impresa e l’attrazione degli investimenti. Era previsto, oltre all’erogazione materiale di finanziamenti, un accompagnamento che guidasse l’imprenditore nel percorso di sviluppo del progetto e dell’adempimento del disciplinare che le condizioni contrattuali imponevano. Un supporto indispensabile, un vero tutoraggio con figure professionali pagate per il ruolo. Solo che Diego Blasi non ne ha mai visto uno di questi tutor. Non sono servite telefonate e richieste, nessuna risposta. Molti sono nelle sue stesse condizioni, centinaia di imprenditori. I quali, dopo aver visto fallire la propria start up, ora sono raggiunti dalla beffa finale. Invitalia (figlia di Sviluppo Italia) sta richiedendo indietro i finanziamenti erogati con gli interessi. Mentre è stata proprio Invitalia a sottrarsi ai suoi impegni collaborando fattivamente al fallimento dei progetti.
