ROMA – Licenziamenti collettivi al bivio sull’addio al reintegro. Decisione in CdM. Domani, venerdì 20 febbraio, il Consiglio dei Ministri prenderà la decisione definitiva sul nodo dei licenziamenti collettivi (a meno di un rinvio tattico con lo stralcio dal decreto legislativo del Governo sul nuovo articolo 18 e il riordino dei contratti). Due le opzioni in campo.
No al reintegro, nessun passo indietro sul Jobs act. Da una parte l’intenzione iniziale del Governo che dice addio al reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamenti collettivi perché, coerentemente con i licenziamenti individuali, li considera “economici”: per gli assunti con contratto indeterminato a tutele crescenti in caso di licenziamento collettivo scatta solo l’indennizzo.
Il Parlamento: ripristinare il reintegro. Dall’altra parte il parere di entrambe le commissioni Lavoro di Camera e Senato che si sono espresse per il mantenimento della tutela e quindi la richiesta al Governo di ripristinare la reintegra sul posto di lavoro.
Un nodo politico, quindi: il fatto che Matteo Renzi abbia detto che sul lavoro si sarebbero viste cose “un po’ più di sinistra”, autorizza a credere a qualche chance di ripensamento. Si vedrà in Consiglio dei Ministri: il parere del Parlamento, specie quando tra Senato e Camera c’è identità di vedute, è autorevole ma non vincolante (con il dlgs il Parlamento fornisce il quadro ma poi delega il Governo a decidere).
Il ministro Poletti. “Abbiamo assunto la segnalazione fatta dai sindacati e dalle Commissioni parlamentari, il Consiglio dei ministri prenderà la sua decisione”, ha dichiarato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, rispondendo alla domanda se la richiesta di escludere i licenziamenti collettivi dalle nuove regole previste nel contratto a tutele crescenti del Jobs Act possa essere accolta o meno.
Se Pietro Ichino (Pd) parla di delega chiarissima, in cui il reintegro sopravvive solo per qualche fattispecie dei licenziamenti disciplinari ma è escluso per tutti i licenziamenti economici, gli esperti contattati dal Sole 24 Ore sono unanimi sul no a passi indietro.
Il licenziamento collettivo «è determinato da sole ragioni economiche (riduzione, trasformazione, riorganizzazione dell’azienda che portano a un taglio del personale) che sono le stesse che operano per i licenziamenti individuali. Ed è quindi coerente la scelta di estendere le nuove regole dell’articolo 18 anche ai licenziamenti di gruppo, di almeno 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni – spiega Arturo Maresca (Sapienza, Roma) -. Un passo indietro sarebbe davvero incomprensibile. Se sopprimo da uno a quattro posti di lavoro illegittimamente l’impresa è tenuta a indennizzare il lavoratore, non si capirebbe perchè se ne sopprimo 5 debba essere tenuta al reintegro».
Del resto, è bene ricordare che «il filtro giudiziale sui licenziamenti collettivi si è spesso rivelato particolarmente pericoloso per le imprese, soprattutto quelle in crisi – aggiunge Raffaele De Luca Tamajo (Università di Napoli) -. Qui infatti la procedura sindacale si svolge normalmente con caratteri d’informalità e quindi quando il licenziamento arriva sul tavolo del magistrato quasi sempre viene annullato, con l’effetto, fino a oggi, reintegratorio. Un pericolo tanto più forte per quanto riguarda i criteri di scelta dei lavoratori, affidati a valutazioni necessariamente discrezionali e contingenti, che i giudici invece interpretano con criteri di estremo rigore. E quindi, in caso di violazioni, è più coerente prevedere sanzioni esclusivamente monetarie». (Giorgio Pogliotti, Claudio Pucci, Il Sole 24 Ore)