ROMA – Le regole del licenziamento collettivo valgono anche per i manager: l’Italia applica quanto disposto da una sentenza della Corte di Giustizia Europea (596/2012 del 13 febbraio 2014). Significa che il rapporto fra azienda e dirigente non ha più un carattere esclusivamente individuale, data la natura fiduciaria del rapporto.
Cosa cambia? Se l’azienda nei 120 giorni precedenti o successivi al licenziamento del suo manager ha effettuato altri 4 licenziamenti (non cambia se si tratta di dirigenti o di semplici dipendenti) o ha mandato dei “preavvisi” di licenziamento, deve seguire le regole del licenziamento collettivo.
La sentenza della Corte Europea aveva dichiarato illegittimo l’articolo 24 della legge 223/91, “nella parte in cui escludeva l’obbligo di rispettare le procedure di riduzione del personale nei confronti del personale con qualifica dirigenziale”.
Spiega Giampiero Falasca sul Sole 24 Ore:
Le novitÃ
01 | Il CONTEGGIO
I dirigenti vanno conteggiati sia nel calcolo dei 5 lavoratori per i quali l’impresa intende procedere al licenziamento, sia nel calcolo dell’organico che determina il superamento della soglia dei 15 dipendenti
02 | LE REGOLE APPLICABILI
Nei confronti dei dirigenti devono essere applicate le regole in materia di avvio e gestione della procedura. Nel corso dell’esame congiunto devono essere tenuti incontri in merito ai dirgenti in esubero. Il licenziamento del dirigente può essere orale
e come tale è regolato.
03 | L’IMPUGNAZIONE
Per l’impugnazione del recesso si applicano i termini fissati dal “collegato lavoro”. In caso di violazione delle procedure o dei criteri di scelta il datore di lavoro è tenuto al pagamento in favore del dirigente
di un’indennità tra dodici
e ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione
04 | MOBILITÀ
Non si applicano le regole sulla mobilitÃ
Quindi, se la soglia non viene superata, si applicano le regole già note:
l’azienda può licenziare senza particolari procedure (è sufficiente una lettera, nella quale sono esposte le ragioni della decisione)
e il dipendente può impugnare la decisione, con la speranza di ottenere – se dimostra che le ragioni aziendali sono state prese senza giustificazione e, quindi, sono arbitrarie – una tutela economica (la c.d. indennità supplementare, fissata nel minimo e nel massimo dai contratti collettivi).
Non entra in gioco, nel recesso individuale, l’obbligo di applicare criteri di scelta,
così come non c’è obbligo di dimostrare che l’azienda poteva adibire il dipendente a mansioni diverse:
conta solo la “”giustificatezza” del recesso.
Se invece i licenziati o licenziandi superano la quota di 5
prima di irrogare il licenziamento devono passare i 75 giorni previsti dalla legge (o il termine dimezzato per i licenziamenti collettivi di dimensioni contenute),
e al momento del recesso l’azienda deve operare una comparazione tra tutti i dirigenti potenzialmente in esubero, scegliendo quelli da licenziare secondo i criteri di scelta definiti dalla legge (esigenze produttive, carichi di famiglia, anzianità ).
Falasca non risparmia le critiche:
La decisione di imporre anche ai dirigenti i criteri di scelta è abbastanza paradossale, in quanto nega in radice il carattere fiduciario del rapporto dirigenziale; tale decisione, peraltro, poteva essere evitata, in quanto la Corte di Giustizia nella sentenza di febbraio non aveva detto nulla sul punto.
Per evitare applicazioni distorte del principio, le aziende e i rappresentanti dei manager dovranno sforzarsi, nell’ambito dell’esame congiunto, di definire – mediante accordo sindacale – criteri di scelta alternativi, più adeguati al rapporto dirigenziale.