Il gruppo Luxottica sta per emettere prestito obbligazionaro (bond), ma ha deciso di non rendere pubblico il proprio rating. La decisione è stata presa dopo che l’azienda, guidata da Leonardo Delvecchio, ha visto in anteprima e sotto vincolo di segreto da parte dell’agenzia, il verdetto. Meglio pagare il denaro un po’ di più, è stata la conclusione di Luxottica, ma non mettere in piazza un voto tanto negativo.
Cos’è un rating? E’ un voto, espresso da un’agenzia specializzata,tipo Moody’s, Standard’s & Poor, Fitch, attraverso l’accostamento di lettere A e B e i segni + e -, si va da AAA+ (leggesi: tripla A più) fino a BBB-. L’indice, o rating, giudica l’affidabilità finanziaria del richiedente.
Secondo Moyra Longo, sul Sole 24 Ore, il rifiuto di Luxottica non sarebbe una novità ma si collocherebbe nella “tradizione” italiana. Altri gruppi italiani infatti non rendono pubblici i “verdetti” emessi dalle agenzie di rating, almeno a quanto sostiene il giornale: “Fitch dice che sono 5 o 6 in Italia, contro un totale di 22 rating pubblici. S&P limita questo fenomeno a «molto meno del 10%» dei rating pubblici”.
Nel caso di Luxottica, il giudizio è stato affidato all’americana Standard’s & Poor’s. Fonti di mercato, spiega la Longo, “riferiscono che il suo voto era penalizzato dal fatto che le agenzie considerano i leasing come debito. Insomma: anche gli operatori considerano quella “BBB-” di Standard & Poor’s (la valutazione fatta dall’agenzia statunitense) un po’ troppo bassa”.
Ma il caso dell’azienda di Delvecchio non è certo isolato. Come racconta la giornalista del Sole 24 Ore, “sul mercato si dice che in passato si siano approcciati a una valutazione delle agenzie di rating vari nomi noti del made in Italy: si ipotizzano Benetton (che però smentisce categoricamente di avere mai avuto un rating), forse Autogrill o Pirelli”. Ma siccome la richiesta arriva da un privato (l’azienda), quello stesso privato ha la facoltà di decidere che quella valutazione sia resa pubblica o rimanga segreta.
La pubblicazione del rating equivale a una informazione che la società può dare agli investitori per far vedere loro lo “stato di salute” dell’azienda. Lasciarlo segreto potrebbe nuocere all’azienda, perché darebbe l’idea agli investitori di uno “stato di salute” non buono.
Oltretutto, sottolinea la Longo, “se un’azienda emette un prestito obbligazionario senza rating, è costretta a pagare rendimenti un po’ più elevati proprio perché le manca il “bollino” delle agenzie. E si tratta di soldi: per un bond da 100 milioni, un solo centesimo di punto percentuale di rendimento in più costa all’azienda che lo ha emesso 10mila euro di maggiori interessi. Considerando che ottenere un rating costa – a spanne – dai 50mila a oltre 100mila euro –, bastano cinque o dieci centesimi di rendimento in più per pareggiare il costo del rating”. Evidentemente, però, ci sono aziende italiane che preferiscono correre questo “rischio” piuttosto che esibire un “voto” ritenuto negativo.
Un’ultima nota velenosa. “Tra le banche incaricate non c’è Calyon: all’appello manca proprio l’istituto che le [a Luxottica] aveva fatto da advisor per il rating [affiancando l’azienda di Del Vecchio nel rapporto con S&P]…
