A Marchionne piace tanto pestare i piedi a tutti, anche alle signore sindacaliste come la neo Susanna Camusso

L’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne ha fatto scoppiare un caso diplomatico escludendo dalla riunione con i sindacati il nuovo segretario della Cgil Susanna Camusso, da poco subentrata al posto di Guglielmo Epifani. Giovedì scorso sono arrivati alla spicciolata poco dopo le 17 alla sede romana della Fiat. Raffale Bonanni, Luigi Angeletti, Giuseppe Farina, Rocco Palombella e Roberto Di Maulo. Sono i vertici dei sindacati che hanno detto sì a Sergio Marchionne negli accordi separati su Pomigliano e che ora chiedono una riunione a parte per discutere il futuro degli stabilimenti italiani.

L’ad del Lingotto concede l’incontro e nasce quindi il primo caso diplomatico con il nuovo segretario della Cgil, Susanna Camusso. Il fatto che la Fiom sia esclusa dalla riunione è considerato uno sgarbo certo ma che rimanga alla porta anche la Cgil nel primo giorno di insediamento del nuovo segretario generale è abbastanza clamoroso. La Fiat fa notare di non aver organizzato lei la riunione ma di aver acconsentito a un’iniziativa di un gruppo di sindacati. E in serata aggiungeva che non direbbe no a una analoga richiesta della Cgil. Certo, si diceva giovedì, la frase della Camusso nel discorso di insediamento, “la Cgil non lascerà mai sola la Fiom, non deve aver ben disposto Marchionne nei suoi confronti.

Dalla riunione separata Bonanni, Angeletti e Di Maulo escono comunque soddisfatti. “E’ stato un incontro positivo – dicono – perché la Fiat ha accolto una richiesta fatta da noi tre settimane fa e ha garantito che entro una decina di giorni partirà la trattativa sulle produzioni a Mirafiori”. Di Maulo aggiunge che “presto verrà preparato il nuovo contratto di lavoro che traduce i principi dell’intesa su Pomigliano. Il nuovo contratto dovrà recepire anche i punti del contratto nazionale per consentire alla newco di uscire da Confindustria”.

Un meccanismo simile lo illustra nel pomeriggio lo stesso Marchionne uscendo dall’incontro con il neo ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani. Quale garanzia hanno i 4.800 lavoratori di Pomigliano di essere trasferiti tutti nella newco? Non rimarrà qualcuno per la strada? “Con i volumi di produzione della Panda siamo in grado di assorbire tutti i dipendenti dello stabilimento. Saranno poi loro a decidere”, risponde Marchionne ribadendo inoltre che non ha alcuna intenzione di lasciare l’Italia.

Le ultime mosse del numero uno della Fiat provocano la reazione di Fiom e Cgil: “Non è con le scorciatoie degli incontri separati e con gli sgarbi a Cgil e Fiom che Marchionne riuscirà a risolvere il problema del consenso in fabbrica”, dice il segretario nazionale della Fiom, Giorgio Airaudo. La Cgil con Vincenzo Scudiere chiede “che il governo convochi un tavolo sul futuro degli stabilimenti italiani”. Una strada che Romani non sembra intenzionato a percorrere: “Incontrerò certamente i sindacati ma non ci sarà un tavolo con la Fiat”. Il ministro aggiunge che “sono pervenute molte proposte per il futuro di Termini Imerese. Ne stiamo esaminando sette, non tutte legate all’industria dell’auto”.

Nei giorni scorsi è venuto in soccorso di Marchionne il premier Silvio Berlusconi. Il presidente del consiglio ha preso le difese dell’amministratore delegato Fiat dopo le sue parole domenica sera alla trasmissione “Che tempo che fa”. Marchionne aveva detto che la “Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l’Italia”.

“Marchionne ha detto la verità dell’oggi e del domani”, ha spiegato il premier, e  la Fiat “si trova a gestire stabilimenti con alti costi e con sindacati che limitano le scelte. In Paesi come la Cina o l’India la manodopera costa meno ed è meno soggetta a direttive sindacali. E magari lavorano anche dodici ore al giorno. Ed è un fatto da apprezzare che un imprenditore resti in Italia”.

Berlusconi non si è poi fermato qui, ma ha anche risposto a tutti quei politici ed esponenti dell’economia che hanno accusato Marchionne di aver dimenticato gli aiuti di Stato ricevuti dal Lingotto, al pari di non pochi concorrenti stranieri. L’amministratore delegato, ha commentato il premier, “non ha negato che la Fiat ha avuto aiuti dall’Italia, tutti sappiamo che è stata molto aiutata”. Il punto, ha aggiunto, è il costo del lavoro. E ancora: “Se sono un industriale che resta in Italia per un sentimento patriottico, è un fatto da considerare positivamente e da apprezzare perché in India e Cina avrei condizioni più favorevoli”.

Le dichiarazioni di Sergio Marchionne sulla scarsa produttività degli stabilimenti italiani della Fiat potrebbero invece avere conseguenze molto concrete nei prossimi anni. Questo perché l’ad nei suoi interventi delle ultime settimane ha esplicitamente paragonato le fabbriche italiane a quelle polacche e brasiliane. In aprile Marchionne aveva garantito, presentando il suo piano dei prodotti, che entro il 2014 la Fiat avrebbe prodotto in Italia 1,4 milioni di automobili più che raddoppiando le 650 mila che, complice la crisi, realizza oggi.

Che cosa accadrebbe dunque se negli stabilimenti italiani i 22.000 attuali dipendenti si mettessero a produrre al ritmo dei loro colleghi polacchi e brasiliani? Oggi in Italia ogni lavoratore produce 29,4 auto all’anno contro le 77 dei brasiliani e le 100 dei polacchi. La vistosa differenza è legata anche al massiccio ricorso alla cassa integrazione degli ultimi mesi. Prima della crisi gli stabilimenti italiani producevano circa 900 mila automobili all’anno e dunque senza la cassa integrazione ogni addetto italiano produceva circa 40 automobili all’anno. Molto al di sotto, comunque, dei suoi colleghi stranieri.

Se il piano Marchionne andasse a regime e se dunque davvero tra quattro anni si realizzassero 1,4 milioni di automobili negli stabilimenti italiani, il numero degli addetti necessario sarebbe in ogni caso inferiore a quello attuale. Se si considera la produttività polacca di cento auto per addetto, sarebbero sufficienti 14.000 dipendenti, 8.000 in meno degli attuali. Se invece si considerano i ritmi più blandi dei brasiliani (77 auto per addetto) sarebbero necessari 18.000 dipendenti, 4 mila in meno degli attuali.

Nel suo piano Marchionne ha già annunciato da tempo che entro il 31 dicembre 2011 cesserà la produzione a Termini Imerese. Dunque 1.500 dipendenti verranno tagliati in quel modo. Altri 500 verranno ridotti con la mobilità a Pomigliano: tutti i sindacati hanno già firmato l’accordo che consente la riduzione. Rimangono 2.000 eccedenze. La trattativa sul futuro degli stabilimenti italiani, che dovrà partire nelle prossime settimane, si occuperà anche di questa questione.

Non è detto che la riduzione di 2.000 persone nell’organico italiano di Fiat auto debba per forza avvenire in modo traumatico. Il caso della mobilità a Pomigliano come quello analogo di qualche mese fa a Cassino dimostra che ci sono strade relativamente indolori per accompagnare i dipendenti con maggiore anzianità alla pensione. L’età media dei dipendenti di Mirafiori ha ormai superato i 47 anni e tra pochi mesi sarà di 48. Siccome si tratta di una media è chiaro che nello stabilimento torinese esistono, ad esempio, consistenti possibilità di ricorrere a provvedimenti di prepensionamento. Se ci sono soluzioni per attutire l´effetto sociale della riduzione, più complesso è il ragionamento di prospettiva sugli stabilimenti.

Il caso Pomigliano, tutto sommato, fa storia a sé. Perché è chiaro che se Marchionne non riterrà più utile realizzare in Italia le Panda, ha a disposizione molti altri stabilimenti nel mondo in cui risolvere il problema. Il trasloco si potrebbe realizzare in poco più di un anno. Avrebbe, come ha riconosciuto lo stesso ad, un impatto sociale devastante.

Diverso è il caso di Mirafiori. Chiarito che i due stabilimenti italiani destinati alla produzione di massa sono Melfi e Cassino, nell’area torinese si potrebbero realizzare produzioni di volume più contenuto. In quel caso si giustificherebbe la riduzione degli organici. Se invece Marchionne realizzerà davvero, come promette, grandi volumi anche a Torino, è chiaro che a quel punto, pensionati i più anziani, dovrà addirittura assumere nuovo personale.

Rocco Palombella, a capo della Uilm, uno dei sindacati che ha firmato l’accordo di Pomigliano e che è rimasto in questi mesi al tavolo della trattativa per introdurre nel settore auto i cambiamenti chiesti da Sergio Marchionne, non nasconde l’irritazione per l’intervista dell’amministratore delegato della Fiat a Fabio Fazio. Palombella non ha gradito il fatto di essere venuto a sapere in televisione quello che chiedeva da mesi, cioè degli aumenti di stipendio prospettati da Marchionne agli operai. Né ha gradito la “bugia” su Mirafiori che avrebbe già gli stessi turni chiesti per Melfi. E pianta un paletto: “Basta con gli atti di fede, altrimenti è a rischio il consenso degli operai”.

Adesso l’amministratore delegato deve dire a chiare lettere dove investirà i 20 miliardi di euro di cui si parla dalla scorsa primavera e deve chiarire se e quando uscirà un nuovo modello per l’auto. Infine, alla teoria che fuori dall’Italia convenga di più produrre auto, il numero uno dei metalmeccanici Uil non ci crede. Anzitutto, sostiene, perché è Marchionne a scrivere il contrario, nei suoi piani.

Anche il quotidiano Il Riformista ha trovato sgradevole l‘intervista di Fazio a Marchionne e si chiede: “Ma a Fazio chi gliele ha scritte la domande?”. Ecco cosa ha scritto il quodiano a proposito della scialba intervista a Marchionne:

L’unico atto d’imperio di Fabio Fazio è stato interrompere una delle risposte più intriganti di Marchionne. Che stava spiegando il suo sfogo sull’Italia «senza senso delle istituzioni» e «senza bussola» e il sibillino «qualcuno ha aperto i cancelli dello zoo». Uno sfogo che qualche blasonato quotidiano amico si è sforzato, con notevoli contorsionismi, di attribuire a qualsiasi cosa non fosse la politica. Ebbene. A Che tempo che fa l’ad di Fiat ha cominciato a chiarire che sui giornali «ne escono di tutti i colori». Con il risultato «che è completamente impossibile capire dove sta andando questo paese. Parlano tutti. E le differenze magari sono sottili». Stava aggiungendo qualcosa. A noi giornalisti scivolati nel frattempo sull’orlo del divano, non pareva vero che cominciasse a fare, magari, nomi e cognomi. Invece Fazio l’ha interrotto. Con la seguente domanda: «Lei però ha il doppio passaporto». Perché «però»?

Tre domande per Marchionne. Primo: che cosa ci farà mai, Sergio Marchionne con 20 miliardi di euro che ha promesso dalla primavera scorsa di investire in questo misero paese? Per ora, come ricorda anche il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, a questo giornale, sappiamo di 700 milioni di euro da investire a Pomigliano. E il resto? E gli altri 19 miliardi e 300 milioni di euro dove andranno?

Secondo: dopo una dozzina di assist, forse anche il più ottuso dei giornalisti avrebbe reagito ai continui “pizzichi” contro il governo del top manager Fiat. L’Italia non è più competitiva, ha detto a più riprese, aggiungendo che il Lingotto ha fatto la sua parte ma che negli altri paesi ci sono stati incentivi o altri modi per aiutare l’auto, insomma che i governi hanno aiutato il settore. Non solo. Quando Fazio gli ha ricordato timidamente che ci sono stati anche in Italia gli incentivi, Marchionne ha risposto che hanno aiutato i consumatori, mica Fiat, visto che sette su dieci hanno comprato una macchina straniera.

Le domande, a quel punto, sarebbero state ben due, in teoria. Primo: cosa hanno fatto i governi degli altri paesi e che lezione può trarne l’inerte governo Berlusconi, non solo per il settore automobilistico, ma per la competitività in generale?

Seconda, ben più intrigante: se sette italiani su dieci non scelgono un modello Fiat, vuol dire che c’è anche un problema di competitività che riguarda nello specifico le automobili, il loro appeal, e dunque il lavoro dell’amministratore delegato della Fiat? Dunque, dov’è, ad esempio, la “Fiat Uno” o la “Fiat Panda”, insomma il modello vincente dell’era Marchionne?

(Alessandro Avico)

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Alessandro Avico