Marchionne sulla famiglia Agnelli: hanno salvato la Fiat, Lehman la voleva a pezzi

Sergio Marchionne

L’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne è stato chiamato come testimone al processo per aggiotaggio informativo in corso a Torino a carico di tre uomini vicini alla famiglia Agnelli, Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens e Virgilio Marrone. Il processo prende le mosse da una complessa operazione finanziaria, nota come “equity swap” che lasciò la casa automobilistica nelle mani degli Agnelli e l’amaro in bocca a molti investitori.

Nella sua deposizione, Marchionne ha presentato le armi al ruolo sostenuto dalla famiglia. Soltanto l’Ifil, la cassaforte della famiglia Agnelli, aveva a cuore il rilancio della Fiat, ha affermato Marchionne, il quale ne era così consapevole che, se nel settembre 2005, alla scadenza del prestito convertendo con le banche, l’azionista di controllo fosse cambiato, lui, Sergio Marchionne avrebbe lasciato il suo incarico.

Ha detto Marchionne al pm Giancarlo Avenati Bassi. «Ci sarebbero stati cambiamenti nella presidenza e nella dirigenza  e io a quelle condizioni non sarei rimasto. Nel giugno 2004 sono stato portato al Lingotto dalla famiglia Agnelli  e nel febbraio successivo sono diventato ad di Fiat Automobiles. In quel momento  l’auto era un’azienda malata».

Ecco il drammatico racconto di Marchionne: Il convertendo da tre miliardi di euro con le banche stava per scattare e sul cielo di Torino gli “avvoltoì pronti a piombare sulla preda” erano più uno e tra questi c’era la mega banca d’affari americana Lehman Brothers, all’epoca ben lontana dal fallimento: «C’era un suo interesse  ad acquistare le azioni dell’azienda in blocco», non per rilanciarla, ma «per fare dello spezzatino». La stessa intenzione di molte altre banche.

Secondo Marchionne, solo l’Ifil e la famiglia Agnelli «avrebbero permesso al management di completare il piano di rilancio». Un obiettivo «che non è mai cambiato».

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