C’è molto moralismo nelle critiche alla retribuzione di Sergio Marchionne, capo della Fiat, il quale può arrivare a guadagnare quanto 6.400 operai, come ha titolato una risentita e indignata mano anche sul nostro Blitzquotidiano. La risposta che viene immediata è che Marchionne ha salvato la Fiat, i 6400 operai, tutti assieme, senza Marchionne avrebbero affrontato gli orrori del fallimento. Ma c’è un’altra osservazione, più profonda e dolorosa, da fare. La reazione è anche rilevatrice di un atteggiamento in fondo feudale, che non appartiene né alla destra né alla sinistra, perché è diffusa in quella largamente maggioritaria parte della popolazione che non si può definire padrona.
Pensateci. Tutti ce l’hanno con Marchionne per lo stipendio e i suoi possibili enormi guadagni, nessuno ha detto una parola sugli ancor più enormi possibili guadagni degli Agnelli: il padrone non si discute, è la reincarnazione del feudatario, ci se la prende col fattore. La scena finale del film “Novecento” di Bernardo Bertolucci è come una seduta psicanalitica: i contadini inferociti uccidono a forconate il soprastante, interpretato da Donald Sutherland, che certo se l’era meritata, ma aveva sempre agito in nome e per conto dei padroni, i quali però. nel momento cruciale, avevano già preso il largo, salvo tornare, ad acque più calme, a riprendersi il loro.
Su una cosa non si può non concordare con Berlusconi, sul fatto che l’ex ministro delle Finanze Vincenzo Visco abbia impersonato meglio di chiunque altro il bieco comunista. In realtà Visco, in materia fiscale, non ha fatto né molto peggio né molto meglio di Giulio Tremonti, col quale si è scambiato i ruoli con l’alternarsi di Berlusconi e Romano Prodi, anzi negli ultimi 20 anni è stato l’unico a ridurre. di ben 4 punti, l’aliquota marginale, salvo poi vergognarsene, ma ha messo poi nel trovare nuovi modi per fare pagare vecchie e nuove tasse agli italiani un tale accanimento da farmelo sempre paragonare a Giuseppe Prina, il ministro delle Finanze che tosò l’Italia del Nord per conto di Napoleone così a fondo che, appena caduto l’imperatore, venne linciato dai milanesi inferociti.
Anche Visco se la prese con i dipendenti, in particolare con i dirigenti d’azienda, sottoponendo all’imposta sul lavoro gli aleatori guadagni da “stock option”, proprio quelli che ora sono contestati, senza che li abbia ancora nemmeno conseguiti, a Marchionne. Disse: “Non è giusto che un amministratore delegat0 guadagni più di un ministro” e così portò l’imposta dal 20 al 50 per cento. Però non ebbe il coraggio di toccare il capital gain dei padroni e dei grandi finanzieri, che sui guadagni delle azioni continuano a pagare solo il 20 per cento. Stessa azienda, stesso sistema di profitto, il dirigente che lo ha determinato ne dà metà al fisco, il padrone solo un quinto, mentre alzando l’imposta sul capital gain dei padroni lo Stato italiano incasserebbe molto ma molto di più.
Marchionne. Intanto, mentre l’Italia si indigna sui denari che forse Marchionne guadagnerà, nessuno si interroga o lo interroga sui suoi progetti, su cosa farà della Fiat in Italia, cosa farà della Fiat, dove sono i suoi veri interessi, dove possono portarci le sue ambizioni. Il futuro della Fiat, anche se il suo peso nell’economia italiana non è quello di mezzo secolo fa, è ancora così importante per tutti noi da richiedere qualcosa di più del gioco delle tre scimmiette da parte del Governo e dell’oltranzismo sfibrato e sconfitto della Fiom. Nessuno si domanda se Marchionne potrebbe distruggere la Fiat, l’importante è che non guadagni troppo per averla salvata.
Intanto la Fiat continua a perdere quote di mercato in Italia e c’è da dire che lo fa da almeno trent’anni. Certo quando uno compra una automobile si fa i conti in tasca, confronta prezzi, prestazioni, rateazioni, consumi, conforto, linea, tante cose. Ma siete sicuri che sul difficile rapporto della Fiat con l’Italia non abbiano pesato e non pesino anche l’arroganza verbale e di comportamenti di tre successivi capi azienda, Agnelli, Romiti e ora Marchionne?
L’arroganza non coincide con l’educazione. Agnelli era una delle persone più educate e gentili che uno possa mai avere incontrato nella sua vita, di buone maniere connaturate, intrinseche, non imparate sul manuale del perfetto venditore come, tanto per non far nomi, Berlusconi o altri. Però quando, dal pulpito della sua azienda, prendeva a nerbate l’Italia e gli italiani, dando lezioni di politica e di civiltà, non ispirava simpatia e meno di lui ne ha ispirato il suo successore Romiti, che per anni, come un disco rotto, ci ha spiegato come fossimo degli scemi guidati da dei cretini.
Marchionne ora ha raggiunto l’apoteosi, perché non parla di politica, non dà lezioni, ma si esprime per ultimatum e aut aut. Questo è il linguaggio dello scontro fra capitale e lavoro, è il modo in cui si manifesta la dialettica economica in tutto il mondo. Ma intorno alla Fiat tutto è stato così enfatizzato, che resta difficile capire perché un italiano che vuole comprare un’auto debba mettersi una mano sul cuore e pensare che comprando italiano aiuta altri italiani. Se l’oste ti tratta male e sei un cittadino qualunque, non ti resta che non tornare più in quell’osteria.