
ROMA – Mps. La telefonata Padoan a Viola: “Lasci”. Il ruolo di J. P. Morgan. Ci sono le impronte del Governo sul cambio al vertice di Monte Paschi: l’ad Fabrizio Viola è stato invitato senza mezzi termini a lasciare la guida della banca direttamente dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Il retroscena raccontato da Gianluca Paolucci per La Stampa arricchisce la cronaca della “cacciata” con le stesse parole di Viola, confermate da più fonti presenti, che riferisce in cda, giovedì 8 settembre, di una telefonata di Padoan: “Alla luce delle perplessità espresse da alcuni investitori in vista del prossimo aumento di capitale e d’accordo con la Presidenza del Consiglio, riteniamo opportuno che lei si faccia da parte”.
Messo alla porta dal Governo che -come convergono tutte le ricostruzioni – esegue un diktat di J. P. Morgan, la banca d’affari Usa che dal ruolo di consulente assunto il giugno scorso, è via via entrata in banca “senza bussare”, ragionano i collaboratori dell’ad defenestrato (che si consolerà, lui tifoso milanistissimo, con l’ingresso nel board nel nuovo Milan cinese se, come sembra, è intenzionato ad accettare).
Tante le frizioni tra vertici Mps e gli americani, e non solo sul prezzo delle commissioni. J. P. Morgan spingeva per scorporo delle sofferenze e ricapitalizzazione senza l’intervento di Atlante, un piano impraticabile secondo la banca senese, fino a quando, con l’avvicinarsi degli stress test il ministero dell’Economia (primo azionista con un po’ più del 4%) va in ansia per la situazione contabile di Mps.
E’ in questa fase che il ruolo di J. P. Morgan cambia: secondo la ricostruzione più accreditata la sortita italiana del ceo di J. P. Morgan, Jamie Dimon, è il segnale della svolta che assegna alla banca d’affari Usa il comando delle operazioni: niente diritto di opzione per un aumento di capitale più rapido, soluzione che accontenta il Governo, azzeramento conseguente degli azionisti attuali, esito contro cui si batte l’ad Viola, che difende l’azionariato storico.
Da allora, riferisce il nostro interlocutore, Jp Morgan sale in cattedra a Siena e impone le sue ricette. Chi pone problemi viene “richiamato” da Roma o messo fuori dalla porta, (in luglio toccò a Ubs, consulente di Mps dal 2012). «Come un malato al quale viene imposta un cura senza che il malato stesso possa chiedere quali medicine sta prendendo», racconta. (Gianluca Paolucci, La Stampa)