Il denaro costa di più: mutui e credito, sorpresa in banca

ROMA – Chi avesse intenzione oggi di comprare casa, o di ottenere un finanziamento, non si lasci ingannare dal fatto che il tasso base dei mutui sia calato, fino al punto da considerarlo addirittura vantaggioso. Prudentemente avrà fatto la scelta di un tasso fisso: di questi tempi meglio evitare il più conveniente, ma rischioso, tasso variabile. Coscienziosamente avrà consultato il tasso Euris (parametro di riferimento dei mutui fissi): a 15 anni il tasso è quotato intorno al 2,8%, a livelli storicamente bassissimi (nel 2008 era sopra il 4%). Non metta lo champagne in frigorifero, non prima, almeno, di essere passato in banca. Ci penserà l’impiegato allo sportello a riportarlo alla realtà, che, non può essere altrimenti, riflette il clima di tensioni sui mercati. Quel meraviglioso 2,8% si è trasformato seduta stante in un deprimente 4,9%.

L’impiegato non avrà difficoltà a spiegargli l’arcano. Ancora una volta si parla di spread, di differenziali. In questo caso sono aumentati i differenziali tra il parametro base Euris e il tasso finale applicato ai clienti. A metà 2010 gli spread sull’Euris erano intorno all’1-1,5%, oggi sono arrivati al 2. Quella maggiorazione tra mezzo punto e un punto nel giro di un anno, è tutto a carico del cliente. Colpa delle fibrillazioni continue dei mercati azionari, del rating, del denaro che costa di più. Col risultato che, per esempio, alcuni piccoli imprenditori, per ottenere un finanziamento, si vedono chiedere un tasso d’interesse passivo che supera il tetto del 13%.

Tutto avviene sopra la testa dei clienti, piccoli imprenditori, aspiranti proprietari di casa, ma anche nella nostra qualità di cittadini e quindi di utenti dei servizi forniti dagli enti locali e da consumatori di energia. Secondo una stima, nel rapporto tra mercati internazionali e banche italiane, quest’ultime avrebbero bruciato il 2-3% dei profitti a ogni aumento dello 0,10 punti percentuali dello spread tra Btp italiani e Bund tedeschi. Quelle grandi, perché quelle piccole sono in sofferenza per una perdita secca negli utili del 5%. Negli ultimi giorni questo differenziale è tornato a scendere, ma non c’è nessuna certezza al momento che la tendenza sia confermata. Incertezza e preoccupazione riguardano, come si diceva anche gli enti locali: con il declassamento di Moody’s Comuni e Regioni potrebbero esser costrette a pagare tassi d’interesse più alti per finanziarsi con il rischio di un conseguente innalzamento delle addizionali Irpef.

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Warsamé Dini Casali