Oro, argento e petrolio: l’attacco alla scorte sintomo di una nuova crisi?

ROMA – Una nuova crisi dei mercati azionari è alle porte? Qualcuno comincia a temerlo, a conferma del prezzo record di oro, argento e petrolio. L’oro nero, ormai, genera costantemente un’aspettativa di domanda sui mercati azionari tanto che la correlazione fra prezzo del petrolio e indici mondiali è diventata negativa. Normalmente il costo del greggio ha una correlazione positiva con le azioni ma quando questa correlazione si rompe, il mercato azionario comincia a scontare un serio problema per l’economia reale: ovvero, quello della distruzione della domanda di beni e servizi a causa dei prezzi troppo alti di petrolio e suoi derivati. A confermare i rischi ci ha pensato la Reuters, pubblicando un grafico che dimostrava come l’ultima volta che i mercati hanno cominciato ad avere una correlazione negativa con i prezzi del petrolio, sia stato poco prima del tracollo azionario del marzo 2008.

E l’oro? I cinesi, nei primi due mesi del 2011, hanno comprato 200 tonnellate di oro fisico (lingotti, monete e gioielli): per dare un ordine di grandezza, l’anno scorso i cinesi hanno comprato in totale 579,5 tonnellate d’oro, qui siamo a una proiezione di 1.200 tonnellate circa. E che dire dell’argento, visto che la Zecca statunitense (US Mint) ha reso noto che nei mesi di gennaio e febbraio di quest’anno sono state vendute 9.662 milioni di once di argento in monete contro le 5.642 milioni di once dei primi due mesi del 2010, +71 per cento. Il rischio, già accaduto in passato, è che la US Mint esaurisca le scorte e che alcune grandi banche, JP Morgan in testa, si trovino ad affrontare guai enormi (scaricando poi i costi a livello globale) viste le posizioni ribassiste che hanno aperto sull’argento e la continua crescita del prezzo dello stesso, solo mercoledì +1.03 per cento a 34,77 dollari l’oncia.

In serata dalla Zecca Usa è arrivata la notizia che l’argento fisico è esaurito finora, le banche sono state a galla attraverso pratiche distorsive come il bombardamento sulle scadenze delle opzioni, visto che al Comex, il mercato su cui si trattano azioni e futures su argento e oro, vige una strana usanza. Come spiega Mauro Botterelli sul Riformista, mentre i futures prevedono la consegna fisica a scadenza (cioè, se hai un futures comprato a scadenza, ti obblighi a comprare una data quantità di metallo fisico), le opzioni, a scadenza, prevedono la conversione in futures. Chi possiede opzioni “call”, a scadenza riceve quindi un contratto futures con scadenza il mese successivo, al prezzo di sottoscrizione della call. A scadenza, quindi, il mercato “accoglie” un sacco di nuovi, involontari investitori che si ritrovano in mano dei futures frutto della conversione delle loro precedenti opzioni, gente che spesso e volentieri spera di guadagnare in fretta e invece di vendere le loro call prima della scadenza, si tiene il future.

Sono le cosiddette “mani deboli”, la manna per le grandi banche che bombardano il mercato con un fiume di carta sicuri che questi venderanno e lo faranno normalmente al prezzo di conversione delle loro opzioni call come fosse uno stop loss, il livello di vendita predefinito in caso di calo. Il risultato è che i venditori di carta possono agevolemente ricoprirsi, sfruttando la paura delle “mani deboli” ma questo giochino non può durare in eterno, soprattutto quando il mercato – come oggi – tratta metalli di carta ma la gente e i governi comprano metalli fisici, esaurendo le riserve perché non credono più a politici e finanzieri e quindi “prezzando” i mercati al di là delle mosse distorsive dei grandi soggetti. Gli stessi “too big to fail” che invece potrebbero pagare (e farci pagare) a caro prezzo il combinato di commodities alle stelle, scommesse sbagliate e mercati al ribasso.

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Alessandro Avico