Se le aziende sono troppo piccole, per reagire alla crisi il taglio di costi e personale è praticamente impossibile. Così il popolo delle partite Iva pensa a nuovi servizi o alle fusioni come uniche vie d’uscita dal collasso economico, dato che oltre il 55% delle società ha al massimo uno o due dipendenti.
Sono professionisti di nome, ma di fatto dipendono dai pagamenti: per non scomparire devono lottare contro i ritardi dei clienti, i problemi di liquidità e il fatturato sempre più ridotto.
È questa la realtà che descrivono Silvia Oliva e Gianluca ToÂschi dell’Osservatorio Nord Est nell’indagine promossa da Banca Intesa Sanpaolo, su un camÂpione di 963 aziende presenti su tutto il territorio nazionale.
Il settore terziario si è evoluto notevolmente arrivando a pesare per il 15% sulla popolazione totale delle imprese e per il 40% se si considera solo la famiglia delle aziende di servizio. Tra il ’91 e il 2001, la crescita delle imprese è stata del 118% e quella degli addetti del 90%. La fetta di maggior portata è quella che opera nel settore della consulenza con 274.506 aziende nel 2007 pari al 40,1% del totale. SeÂguono l’ingegneria (208.152, 30,4%), l’information techÂnology (84.005, 12,3%), la comunicazione e il marketing (69.129, 10,1%) e i servizi integrati agli immobili e alle infrastrutture (42.110, 6,2%).
Un’impennata nel manifatturiero che è avvenuta prima della crisi grazie allo stretto rapporto localistico tra cliente e fornitore. Questo stesso elemento ora preoccupa però i piccoli imprenditori: il 34,4% lamenta che i clienti hanno invertito il processo e ora «internalizzano» i servizi precedentemente acquistati sul mercato. Altri affermano che le aziende clienti acquistano servizi all’estero.
Ma ora i piccoli stanno reagendo e la micro-dimensione potrebbe trasformarsi in una risorsa.
