Patrimoniale sì o no: dopo la lettera di Silvio Berlusconi al Corriere della Sera si è infuocata la polemica. Se l’imposta era stata lanciata dall’ex premier Giuliano Amato prima e dal banchiere cattolico Pellegrino Capaldo poi, adesso è intervenuto anche Pietro Ichino dalle colonne del quotidiano Il Riformista, rispondendo all’allarme per i ceti medi lanciato dal presidente del Consiglio, e poi Mario Deaglio e Marcello Sorgi su La Stampa.
Proviamo a ricostruire un po’ il dibattito: da una parte c’è Berlusconi e la sua mossa elettorale, ma anche una scelta dettata anche dall’esigenza di sedare le voci insistenti sullo scandalo Ruby. Si tratta di una mossa che però non dice nulla di come intende ridurre il debito pubblico. Dall’altra c’è la sinistra che ha riproposto l’imposta patrimoniale come soluzione anti-crisi, una vera e propria “botta secca” per cercare di ritornare in pari con il bilancio.
“Berlusconi prende posizione in modo sprezzante contro questa proposta, sostenendo che essa impaurirebbe e paralizzerebbe i ceti medi e che comunque la sola cosa utile sarebbe una sferzata liberalizzatrice capace di rimettere in moto l’economia italiana. Ma la patrimoniale di cui stiamo parlando non riguarda i ceti medi, bensì soltanto la classe dei super-ricchi (il dieci per cento più facoltoso), cui appartiene lo stesso premier”, ha detto Ichino convinto che la patrimoniale convenga a tutti, ricchi compresi.
Per il senatore Pd la cosiddetta sferzata liberalizzatrice è poco credibile perché “viene annunciata dalla stessa maggioranza che sostiene il disegno di legge sul nuovo ordinamento dell’avvocatura: l’esatto contrario di una liberalizzazione. Se Berlusconi crede nella sferzata liberalizzatrice che propone la prima occasione è questa: cooperi a riaprire il confronto a Montecitorio sulla riforma forense”.
Ma c’è dell’altro, perché Berlusconi è tornato a parlare di crisi, ha aperto persino uno spiraglio all’opposizione chiamando in causa il segretario Pd Pierluigi Bersani per un “piano bipartisan” di rilancio, dopo un lungo periodo in cui invece non aveva fatto altro che minimizzare la portata dei problemi economici dell’Italia.
Come fa notare Mario Deaglio dalla prima pagina della Stampa per esempio “nel respingere l’ipotesi di una patrimoniale, il presidente del Consiglio usa questa parola di cinque sillabe come il vero sostituto di una politica economica e industriale verso la quale non ha mai dimostrato una particolare simpatia”.
Ma in realtà sulla patrimoniale neanche l’opposizione è compatta. Quindi come leggere questa frustata per la ripresa invocata da alcuni? “L’affidarsi alla crescita spontanea”, ragiona Deaglio, “agli spiriti vitali del capitalismo, miracolosamente risvegliati da mutamenti delle regole, sa molto di propaganda. Se questa strategia avesse successo, i tempi sarebbero di due o tre anni, troppo lunghi per un Paese che sente sul collo il fiato dei creditori”.
Insomma, patrimoniale sì o patrimoniale no? Deaglio bacchetta sia la sinistra che la destra in merito: chi la vanta dovrebbe sapere “che è un’ottima ricetta per perdere le elezioni” e chi invece la rigetta “dovrebbe dire chiaramente che cosa ci mette al posto e non fare semplicemente balenare l’immagine di un cavallo frustato che si mette ad andare al galoppo”.
E sempre alla sinistra si rivolge invece Marcello Sorgi in un’opinione pubblicata su La Stampa, dopo avere ribadito che è partita la campagna elettorale di Berlusconi: “Nessuno dei partiti di centrosinistra aveva simpatizzato con queste uscite” (di Amato, di Capaldo e infine di Walter Veltroni al Lingotto). Alla fine dà un consiglio: “Se proprio deve essere adottata, la patrimoniale non va mai annunciata prima”.