
Pensioni, cosa cambia con il nuovo governo? Ipotesi quota 41 con soglia di età. Non convince Opzione Uomo (Foto Ansa)
Quota 41 con una soglia di età: l’ultima ipotesi in tema di pensioni, è quella proposta dalla Lega nel suo programma elettorale in vista del superamento della legge Fornero. Significa pensione anticipata per chi ha 41 anni di contributi, invece di 42 anni e 10 mesi per gli uomini o 41 anni e 10 mesi per le donne. Ma tutto dipenderà dai calcoli dell’Inps e dalla soglia di età che verrà individuata.
Appare invece meno percorribile la strada di una cosiddetta “Opzione uomo”, con la possibilità di andare in pensione a 58 anni (aspettando comunque un anno di finestra mobile) in base al solo sistema contributivo e con una decurtazione dell’assegno.
Quota 41, tutto dipende dalla soglia di età
In un vertice Lega di lunedì 17 ottobre si è fatto il punto sul tema: una delle strade allo studio è appunto Quota 41, proposta su cui insiste il partito di Matteo Salvini, ma con l’introduzione di una soglia d’età. Questa opzione, spiegano fonti della maggioranza di centrodestra, permetterebbe infatti di ridurre anche di molto l’impatto previsto da Quota 41, che, come concepita finora, richiederebbe risorse pari a circa 5 miliardi l’anno.
Tutto dipende comunque da quale sarà la soglia che verrà individuata e dai calcoli che verranno fatti dall’Inps. Se però si dovesse fissare la soglia a 60 anni, o a 61, non si farebbe che replicare Quota 101, oppure l’attuale Quota 102.
Opzione uomo, non convince la Cgil
Non convince intanto l’idea di replicare, in chiave maschile, la flessibilità in uscita con assegno ridotto, già previsto da Opzione Donna. Opzione uomo non convince innanzitutto il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. “Mandare in pensione le persone riducendogli l’assegno – sottolinea – non mi pare sia una grande strada percorribile. Credo che il tema sia quello di affrontare la complessità del sistema pensionistico”.
La scelta di ragionare sulla flessibilità di uscita legata al calcolo contributivo è invece condivisa dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico che parla di “direzione giusta”, anche se poi bisognerebbe tenere conto delle reali possibilità di accedere a una misura simile.
Pensione anticipata, i calcoli dell’Inps
Al momento secondo i dati Inps hanno scelto di andare in pensione con Opzione donna circa il 25% delle persone che avevano i requisiti: 58 anni le dipendenti e 59 le autonome avendo però maturato almeno 35 anni di contributi e avendo l’assegno calcolato interamente con il sistema contributivo. Per gli uomini la percentuale di adesione potrebbe essere ancora più bassa.
Se infatti si decidesse di uscire a 58 anni (con assegno che arriva comunque a 59 dato che bisogna attendere l’anno di finestra mobile) si perderebbe circa il 30% della pensione che si sarebbe maturata uscendo oltre sette anni dopo (con 42 anni e 10 mesi di contributi) perché i contributi versati sarebbero meno e andrebbero “spalmati” su molti più anni.
In pratica, secondo alcuni calcoli, si avrebbe a che fare con un primo assegno di pensione pari a circa la metà dell’ultimo stipendio. Una opzione che chiaramente potrebbe apparire poco appetibile nell’attuale contesto caratterizzato da un deciso aumento dei prezzi e nel quale rinunciare a una parte dell’assegno pensionistico diventa ancora più complicato per un uomo che, quasi sempre, ha il reddito più alto in famiglia.
Rischio assegno dimezzato rispetto all’ultimo stipendio
Un approccio che evidentemente diventa più abbordabile solo per la parte di popolazione più benestante, con redditi alti. In pratica – stando ai calcoli – se a fronte di uno stipendio netto di 3mila euro si riceve uscendo con grande anticipo dal mercato del lavoro una pensione di circa 1.500 euro al mese per 13 mensilità se lo stipendio netto è di 1.500 euro la pensione sarebbe di circa 750 euro mettendo una famiglia senza altre rendite e redditi in una situazione di bisogno.
Visto sul fronte dei conti pubblici, l’intervento richiederebbe inoltre un finanziamento per i primi anni di attuazione: anche se si passa ad un regime contributivo si anticipano gli esborsi pensionistici da parte dello Stato. Si porrebbe dunque il problema della spesa corrente che cresce, anche se nel lungo periodo il sistema resterebbe in equilibrio.