ROMA – Pensioni di reversibilità: nel provvedimento delega che il Governo ha presentato al Parlamento è stata aggiunta una clausola definiva (almeno per che verranno toccati i cosiddetti diritti acquisiti): gli eventuali nuovi criteri escludono esplicitamente i trattamenti in essere e quindi riguarderanno solo chi presenterà la domanda in futuro.
Basterà a circoscrivere polemiche e reazioni? Per ora il florilegio delle reazioni a caldo descrive un clima infuocato in materia pensionistica. Se il ministro Poletti parla di “polemica infondata”, l’alleato Pd Cesare Damiano dice che “le pensioni non possono essere il pozzo di San Patrizio del Governo”, il leader Cis Furlan intima che “nessuno tocchi le pensioni di reversibilità“, Matteo Salvini minaccia la “guerra” se la reversibilità verrà sfiorata. Ma cosa ci può ragionevolmente aspettare che cambi con la delega?
Riordino dei trattamenti in base all’Isee. Interessati dalla razionalizzazione non sono solo le pensioni di reversibilità: ci sono tutte le prestazioni assistenziali e previdenziali (assegni sociali e integrazioni al minimo reddituale) legate al reddito. Esclusi in modo esplicito dal riordino solo i trattamenti di invalidità. Gli eventuali risparmi ottenuti finiranno in un fondo per il sostegno alla povertà.
Isee: non solo il reddito, anche la casa. Uno dei punti qualificanti – e più osteggiati – riguarda proprio i requisiti reddituali sotto i quali scatta il trattamento assistenziale. Il fatto è che se si prende come criterio l’Isee (indicatore di situazione economica equivalente), a formare la “ricchezza” individuale non concorre solo il reddito, ma anche la casa, come spiega Luca Cifoni sul Messaggero.
Attualmente il trattamento scatta sia e beneficio dei superstiti di un pensionato, sia nel caso in cui il defunto sia un lavoratore, purché abbia accumulato contribuzione sufficiente. L’importo, nel caso in cui ci sia solo il coniuge è pari al 60 per cento della pensione originaria, mentre sale se ci sono anche figli minori o altri familiari. Ma poi scattano altre decurtazioni crescenti se il superstite possiede altri redditi al di sopra di tre volte il minimo Inps (ovvero circa 1.500 euro lordi al mese). Rispetto a questo meccanismo l’Isee potrebbe risultare più penalizzante ad esempio per chi possiede una casa, visto che l’indicatore tiene conto oltre che del reddito anche del patrimonio. (Luca Cifoni, Il Messaggero)