
ROMA – Il Pil elastico: Confindustria vede rosa, Istat vede nero. Il Pil italiano peggiora, decrescerà più del previsto secondo l’Istat di ieri 10 settembre: a fine anno sarà a -1,8% invece che a -1,3 rispetto a quello dell’anno scorso, l’ultimo trimestre è stato l’ottavo di segno meno, due anni. La recessione è finita, invece, secondo il Centro Studi di Confindustria (CSC), di oggi 11 settembre: l’Italia decresce meno del previsto, -1,6% tendenziale contro il -1,9% stimato rispetto all’anno scorso, nelle previsioni colloca l’interruzione della caduta del Pil nel terzo trimestre di quest’anno e il ritorno a variazioni positive nel quarto (+0,3%). Siamo “al punto di svolta”, anche se la ripresa sarà “lenta” è la conclusione.
Non è che ognuno si faccia i dati suoi, si applicano criteri e metodi previsionali diversi, ma il sospetto che i numeri vengano tirati un po’ di qua un po’ di là non è infondato, soprattutto per l’uso politico della statistica e le ricadute sull’agibilità del governo se non sulla sua sopravvivenza. Il governo recepirà le variazioni contabili Istat perché ne deve riferire al Parlamento.
Nel secondo trimestre la variazione acquisita del prodotto interno lordo per il 2013 è pari a -1,8% ha stimato l’Istat ricordando che è la variazione (crescita o calo) annuale che si otterrebbe con una variazione congiunturale nulla nei restanti trimestri dell’anno. CSC incorpora nel dato tendenziale il ritorno a variazioni positive nel quarto (+0,3%).
Istat, fino a un momento prima della nascita del governo Letta, guidata dal suo ministro Giovannini, ha prima scommesso su una decrescita più contenuta, e adesso stima al ribasso le prospettive di uscita dalla recessione forse perché non sa come reperire i 4 miliardi che servono a coprire mezza Imu e rinvio aumento Iva e rischio sforamento 3% di deficit/Pil. E per i quali qualcuno parla di nuova manovra. E anche senza ricorrere a una manovra il bilancio non consentirà alcuna concessione a breve per attenuare la pressione fiscale sul lavoro. Come chiede Confindustria (“ora ridurre il cuneo fiscale, servono 4-5 mld”) il cui Centro Studi, non a caso, esclude rischi sull’obiettivo del 3%.