Cinque anni e mezzo di carcere: è questa la condanna chiesta oggi a Milano per l’ex amministratore delegato di Banca Italease, Massimo Faenza, dal pm Roberto Pellicano al termine della requisitoria del processo per la vicenda dei derivati, in cui gli imputati sono accusati di associazione per delinquere finalizzata all’appropriazione indebita. Avrebbero piazzato derivati “spazzatura”, innescando un giro di denaro che usciva dalle casse della banca per entrare alla fine nelle tasche di Faenza e dei suoi sodali.
Il pm Roberto Pellicano ha chiesto ai giudici del tribunale di condannare anche l’ex responsabile delle relazioni esterne della banca, Pino Arbia, e i mediatori Leonardo Gresele e Luca De Filippo a 4 anni e mezzo di carcere, l’allora direttore finanziario della Danieli Mauro Mian (accusato solo di appropriazione indebita) a tre anni di carcere, e altri due mediatori, Gianluca Montanari e Claudio Calza, rispettivamente a un anno e mezzo e un anno e quattro mesi.
Per questi due la pena chiesta è uguale a quella che tempo fa avevano cercato di patteggiare. Le richieste di condanna sono arrivate dopo un paio d’ore di requisitoria nella quale il pm nella sua ricostruzione ha concluso che i fatti contestati sono molto gravi perché hanno ”procurato danni ingentissimi, perché hanno danneggiato un’istituzione con ricadute sulla collettività.
Alla fine, ha proseguito il pm, c’è stato un meccanismo che attraverso la quotazione in borsa e quindi il ricorso al capitale di rischio per cui hanno perso gli azionisti.
Secondo il pm ”poiché una banca è più difficile che venga percepita come fonte di allarme sociale questa associazione può essere più dannosa, se si prescinde dagli aspetti dell’incolumità della persona, di un’associazione che fa cento rapine”.
Il pm Pellicano ha parlato di ”fatti commessi dagli imputati con una struttura associativa molto sofisticata” che come ”un virus che sfrutta l’organismo altrui” si è inserita nella banca. Tra le varie considerazioni il pm ha parlato inoltre dell’esistenza di ”un gruppo coeso” che ha praticato un’attività che è stata quella ”di impoverire costantemente la banca” attraverso le operazioni effettuate con i derivati ”quelli esotici che non avevano alcuna finalità commerciale ed economica”. L’appropriazione indebita contestata è di circa 23 milioni di euro.