“A fine marzo Paolo Agnelli propone referendum ai dipendenti di una delle sue aziende. Vista la domanda di alluminio, gli addetti della Trefiliera Alexia (Sondrio) avevano diritto a scegliere. Potevano restare nei turni tradizionali. O passare alla turnazione si sei giorni, paga doppia il sabato, premio annuale 3850 euro ciascuno e l’assunzione di altri 30 lavoratori. Il personale ha votato per non cambiare e ha rinunciato ai soldi e a si nuovi assunti. I sindacati locali hanno assecondato”. Federico Fubini, Corriere della Sera del 2 giugno. Non c’è altro da aggiungere all’apologo, che apologo non è ma cronaca, che un titolo, appunto l’Italia che va e quella che non va.
Quale la ragione di esistenza, il perché di un sindacato? Di certo l’aumentare del numero delle persone che lavorano con un contratto di lavoro, far assumere la gente è missione e compito del sindacato. Un sindacato che rinuncia a questo, sia pure sotto indicazione e preferenza dei già assunti, non è sindacato, è invece lobby di protezione dei già contrattualizzati. Un sindacato che rinuncia ad assunzioni per non scontentare i già assunti è inoltre organizzazione reazionaria quanto a mercato del lavoro e produzione di ricchezza e risorse. Marcate caratteristiche di lobby, funzione reazionaria in economia, prassi politico-sindacale populista. Sono le stimmate di non santità di troppo sindacato italiano nell’Italia che non va.
Istat ha appena finito di calcolare circa 1,5 mln di persone in Cassa Integrazione non episodica, 2,5 milioni di disoccupati, 3 milioni di scoraggiati nel cercare lavoro. Fanno circa sette milioni di persone che non lavorano perché il lavoro non lo trovano o il lavoro non trova loro (per avere un quadro di riferimento: circa 23 milioni i lavoratori dipendenti, tra i 5 e i 7 milioni i lavoratori autonomi, fuori dal calcolo lavorio ed attività in nero). Negli stessi giorni, anzi ore, Federazione pubblici esercizi commerciali lamenta 150 posti di lavoro come cuochi, barman e camerieri offerti ma non coperti. Coldiretti lamenta 50 mila posti di lavoro nei campi offerti e non coperti. Decine di migliaia di posti di lavoro non coperti nell’edilizia. E offerte di lavoro che restano inevase lamentano quasi tutte le aziende che stanno, come usa dire, ripartendo.
E’ l’effetto del mercato del lavoro occluso da una storica incapacità e indolenza in due attività fondamentali. La prima: mettere chi ha perso un lavoro in condizione di trovarne un altro dandogli nuove competenze. Attività che elettoralmente non paga, sindacati e partiti e gente preferiscono lasciare il lavoratore dell’impresa decotta avvinto ad un posto di lavoro svanito tramite Cassa integrazione, sussidio, scivolo pensionistico…La seconda: fare dell’incontro tra domanda e offerta lavoro una attività professionale, al contrario si preferisce la ricerca di lavoro per via di conoscenze para familiari e ci si inventa i navigator che il posti di lavoro l’hanno trovato, per loro fortuna, a se stessi e a nessuno più.
Mercato del lavoro occluso come un’arteria ingolfata da protezionismo di clan e ingozzata di denaro pubblico. Ma non basta, mercato del lavoro anche malato e viziato. Se qualcuno denuncia che per fare il cameriere ci sono proposte di retribuzione da 300 euro al mese più mance, sarà di certo questo l’estremo e non la normalità. Però se quando si va a verificare sempre si constata che la metà circa degli esercizi di ristorazione e affini non sono in regola con i contributi ai dipendenti e circa un terzo accoglie e indulge nel lavoro a nero, proprio sicuri i 300 al mese siano un’eccezione?
Dall’altra parte se reddito di cittadinanza stabile più contributi d’emergenza e sostegni Covid vari portano in tasca di questi tempi circa 7/800 euro al mese perché mai andare a lavorare duro per mille al mese? Magari si va a lavorare, però a nero e si fa 800 euro dallo Stato e 500 euro da chi paga a nero e fanno 1.300. E poi ci sono le competenze rare, rare perché non coltivate: fresatori ed idraulici servono, oltre che programmatori in rete. Magari qualcuno che unisca i due generi di competenze e venga pagato 2.500 al mese in aziende che aumentano produttività con sindacati che operano per spendere il surplus, se c’è, in nuovi posti di lavoro. Sarebbe un mercato del lavoro non malato, viziato e occluso.