Si dirà: l’incremento della popolazione procede speditissimo da molti decenni, l’hanno consentito soprattutto i progressi della medicina e la diffusione di nuove tecniche di produzione agricola ha permesso di “governare”, entro certi limiti, le crisi alimentari. Quindi tranquillizziamoci. Ma mica tanto. L’aumento numerico, infatti, si sta accompagnando con rapidità crescente a un incremento dei redditi di alcuni paesi fra i più popolosi, dalla Cina all’India al Brasile. Nasce un’affollata borghesia locale che, in quanto tale, vuole innanzitutto mangiare di più e poi nutrirsi “meglio”: in soldoni, dal pane e dal riso alla bistecca. E produrre carne implica un consumo di cereali, per l’alimentazione animale, molto superiore, a parità di calorie, rispetto al consumo umano diretto di cereali. Ricorda in proposito Brown che circa tre miliardi di persone stanno cercando di salire nella catena alimentare, consumando più carne, latte e uova; “il consumo di cereali pro capite negli Stati Uniti è quattro volte superiore che in India, non solo perché si mangia e si spreca di più, ma perché nel paese asiatico è bassissima la quantità di cereali convertita in proteine animali”. E aggiunge: “Per ora”.
Di fronte a questa crescita irreversibile, a meno di epidemie imprevedibili, guerre totali o altre catastrofiche evenienze, l’offerta di prodotti alimentari non ha più l’elasticità dei decenni passati, quando poteva conseguire incrementi percentuali a due cifre nel giro di pochi mesi. Le ragioni sono molteplici. Prima fra tutte la diffusione delle nuove tecniche agricole per aumentare la produttività per ettaro è già stata rapida e molto larga: margini ce ne sono ancora ma non certo con i ritmi del passato, quando il progresso agricolo era dato per scontato: “La resa dei cereali per ettaro”, ricorda Brown, “è triplicata dal 1950… in Giappone quella del riso è cresciuta lungo tutto un secolo ma da 16 anni si è fermata. In Cina si giungerà presto allo stesso punto. E questi due paesi rappresentano un terzo della produzione mondiale di riso”.
Un altro fattore che tenderà sempre più a esasperare lo squilibrio strutturale fra offerta e domanda è dato dalla rapida crescita dell’utilizzo di cereali per produrre carburanti per autotrazione. Gli Usa già nel 2010 hanno utilizzato 126 milioni di tonnellate di “grain” per produrre etanolo (su una raccolta totale di 400 milioni) e il Brasile li segue a ruota. I forti aumenti dei prezzi petroliferi dell’ultimo periodo non possono che incidere, ampliandolo, su questo tipo di utilizzo dei cereali. E’ evidente che ormai i due mercati sono strettamente legati: più aumenta il greggio, più conviene produrre etanolo (e più utilizziamo carburante “verde” per le nostre auto, meno si mangia in qualche parte del mondo).
Ma non è finita qui o, se vogliamo proverbializzare, le disgrazie non vengono mai sole. Infatti, come tutti sanno, succede anche che ci troviamo di fronte a profondi cambiamenti climatici. La terra si sta riscaldando e, anche se lo fa più lentamente di molte previsioni catastrofiche, c’è chi stima che un aumento di un grado della temperatura media comporti una riduzione della resa per ettaro attorno al dieci per cento. In Russia l’ondata di caldo dell’estate scorsa ha portato a un taglio della produzione cerealicola del 40 per cento. Osserva Brown che questo disastro russo è quantificabile in 40 milioni di tonnellate in meno: se la stessa stagione bollente si fosse verificata negli States (che hanno una produzione assai più elevata), un analogo taglio percentuale avrebbe significato 160 milioni di tonnellate perse. L’esempio può apparire “congiunturale” ma il riscaldamento globale è certo un dato strutturale, anche se ci può essere disaccordo sul ritmo di incremento. Un altro fatto non contingente è l’incremento della “volatilità” del clima che comporta imprevedibili eventi estremi, assai più frequenti che in passato, con pesanti effetti negativi sui raccolti.
Il riscaldamento globale e lo sfruttamento intensivo dei terreni implicano fra gli altri effetti negativi una riduzione dell’acqua disponibile per le coltivazioni. La possibilita di aumentare la produzione è ridotta sia dalla minore quantità di acqua che dalla riduzione dei terreni coltivabili per effetto della desertificazione: uno studioso cinese ha calcolato che nel nord del suo paese 1.400 miglia quadrate si trasformano in deserto ogni anno e fenomeni analoghi si riscontrano in molti altri paesi.
