ROMA – Il governo studia, pianifica e si muove per riformare il processo tributario. Il progetto del ministero dell’Economia è in una fase più che avanzata e si muove su due binari: nell’immediato, il miglioramento dell’attuale procedimento che gestisce il processo fiscale e a seguire una vera e propria rivoluzione dell’intero sistema.
Come riporta Il sole 24 Ore infatti il ministero sta studiando una modifica radicale all’attuale modello. L’ipotesi più accreditata è quella dell’introduzione di una forte fase precontenziosa, grazie all’istituzione di apposite camere di conciliazione indipendenti, dove contribuenti e amministrazione cercheranno di raggiungere in contraddittorio un accordo sulla controversia.
Da qui si procederà al secondo passo della rivoluzione del contenzioso: la fase giudiziaria vera e propria prevederebbe infatti un solo grado, con l’eliminazione quindi dell’attuale passaggio in commissione provinciale (di fatto sostituito dalla fase conciliativa). Per l’eventuale appello, contribuenti e amministrazione potrebbero poi rivolgersi ai giudici della Cassazione.
La conciliazione passerebbe quindi per un ulteriore potenziamento anche dei meccanismi amministrativi che oggi operano in chiave deflattiva del contenzioso (adesione, acquiescenza, autotutela), con la previsione comunque di individuare una struttura amministrativa con funzioni conciliative.
Quest’ultimo, vista la situazione dei conti pubblici, appare il fronte più delicato. E che spiega perché si persegue comunque l’obiettivo di privilegiare e accelerare il cammino verso l’adeguamento del sistema attuale. Non a caso, l’Economia ha avviato tavoli tecnici con le rappresentanze sindacali e istituzionali dei giudici tributari, dove si è iniziato a discutere di ritocco dei compensi e incompatibilità dei magistrati.
Il progetto di riforma complessivo sembra però spaventare, e non poco, i giudici tributari. Come spiega Ennio Attilio Sepe, presidente dell’associazione magistrati tributari (Amt), in una lettera inviata la scorsa settimana ai colleghi delle altre associazioni e ai vertici dell’avvocatura, “la sostituzione di un grado di giudizio con una fase precontenziosa, di natura amministrativa rappresenterebbe un netto abbassamento della tutela giurisdizionale del contribuente”.
In caso di conciliazione e di una fase amministrativa, sostengono i giudici tributari, il rischio di possibili condizionamenti da parte della controparte o del ministero sarebbero più elevati. Senza difesa tecnica e con il taglio di fatto di un grado di giudizio, si limiterebbe la difesa del contribuente. Come sottolinea ancora Sepe nel chiamare a raccolta tutte le strutture rappresentative degli attuali giudici tributari, “se è vero che il doppio grado di giurisdizione non ha copertura costituzionale, è pur vero che nel nostro sistema processuale non esiste processo con un unico grado di merito”.
