Rating. Otto anni di declassamenti: il lento declino dell’Italia

ROMA –  Il declassamento dell’Italia deciso da Standard & Poor’s il 20 settembre (da A+ ad A) mostra che, nonostante le manovre, la crisi per il nostro Paese non è ancora alle spalle.  Silvio Berlusconi ha immediatamente parlato di “decisione politica” e di “responsabilità della stampa”. S&P ha a sua volta precisato che con la valutazione la politica non c’entra nulla.

Ma cosa vuol dire, in concreto, tagliare il rating? A livello pratico significa che chi acquista obbligazioni si assume un rischio maggiore e quindi, probabilmente, non lo farà a meno che i bond non gli garantiscano un profitto più alto.

Rating e Outlook. Il rating è semplicemente un voto che delle agenzie specializzate (Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch le più note) assegnano ad un qualsiasi Stato, ente o azienda che emette titoli di debito. Una coordinata precisa data ad un eventuale investitore per cercare di misurare in modo oggettivo il rischio che si assume. Il voto varia tra AAA che rappresenta la massima solvibilità e D che significa default, ovvero insolvenza.

Contemporaneamente al voto le agenzie assegnano un valore di outlook, ovvero di prospettiva: in questo caso la valutazione può essere stabile, positiva (possibile rialzo del rating) o negativa (possibile taglio del rating).

La parabola discendente. Fino al 2003  ce la passavamo abbastanza bene: l’Italia aveva un punteggio di AA per tutte le agenzie di rating e un outlook stabile. Poi inizia un lento declino. Il primo segnale negativo arriva a gennaio 2003: Standard & Poor’s modifica la prospettiva da stabile a negativa. Passa un anno e mezzo e l’outlook diventa realtà: a luglio 2004 davanti alla doppia A compare un segno meno. A deciderlo è sempre Standard&Poor’s che fissa il nuovo rating ad AA-.

Poco meno di un anno dopo, a giugno 2005, è Fitch a modificare l’outlook da stabile a negativo e nel 2006 Fitch mette l’Italia sotto osservazione per un possibile declassamento.

Di downgrade, qualche mese dopo, ne arrivano addirittura due. A ottobre 2006 Standard&Poor’s abbassa la sua valutazione da AA- ad A+ e Fitch passa da AA ad AA-.

Per cinque anni, poi, il declino della nostra affidabilità sembra arrestarsi. Tutto fino alla crisi dell’estate 2011, quella delle manovre. Il 20 settembre Standard & Poor’s ci leva anche il segno più. Rimaniamo con la A, lontani dal default ma di certo più lontani dall’eccellenza di quanto eravamo otto anni prima.

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Emiliano Condò