Il Nobel Krugman recupera Keynes: “Austerità e tagli uguale recessione”

Il premio Nobel per l’Economia Krugman

ROMA – L’austerità è la medicina da prendere in tempi di vacche grasse: quando le cose vanno male rischia di uccidere il malato. E’ la bandiera di John Maynard Keynes che il premio Nobel Paul Krugman sventola per criticare duramente le politiche di tagli alla spesa pubblica che stanno spingendo l’economia americana e mezza Europa in recessione. L’analisi storica dei momenti più significativi di depressione e recessione economica, confermano il dogma keynsiano, secondo Krugman, ben consapevole di mettersi contro la tendenza generale approvata dai più, a Washington come a Bruxelles.

“Il momento giusto per l’austerità al Tesoro è l’espansione, non la recessione” dichiarò nel 1937 il profeta della spesa pubblica come strumento per sostenere la domanda occupazionale. Parole dette proprio mentre Franklin Delano Roosevelt si avviava a sconfessare quelle teorie per rimettere a posto il budget statale: risultato, la crescita fu uccisa nella culla e riportare il paese tornò in recessione. Stesso errore ripetuto nel 2010 e 2011 da buona parte del mondo occidentale. Fu troppo timido il pacchetto di aiuti e stimoli presentato da Obama per creare più lavoro. Chi dice il contrario, continua Krugman, ha letto male o fa finta di non capire i dati. Gli scarsi risultati nelle performance occupazionali non vanno addebitati all’inutilità delle misure di Obama, ma piuttosto alla loro esiguità. Il già esile pacchetto è stato ulteriormente svuotato: “a livello federale non ci sono state nuove drastiche misure di austerità – riconosce Krugman – ma si è registrato un sacco di austerità passiva quando lo stimolo economico voluto da Obama si è stemperato e i gopverni statali e locali a corto di liquidi hanno continuato a tagliare la spesa”.

D’altra parte i repubblicani sono affezionati a slogan del tipo “spendi meno, presta meno, fai crescere l’economia”. Portando ad esempio il presunto miracolo irlandese: i tagli alla spesa hanno ben presto frustrato i timidi segnali di ripresa cui il mercato ha voluto credere. I numeri attuali descrivono un paese in piena recessione. Come volevasi dimostrare, dice Krugman. E pensa alla Grecia, cui le misure draconiane hanno portato un clima equiparabile alla Grande Depressione del ’29 e un calo a doppia cifra del Pil. Forse Irlanda e Grecia non avevano alternative: gli Usa possono scegliere, però, e anche Obama sembra orientato a recedere stavolta da un austerità che a parere di Krugman è solo un cappio al collo. E da noi, in Italia, alle prese con le stesse drammatiche scelte, John Maynard Keynes è nei pensieri del professor Monti? A occhio si direbbe di no, la cosiddetta fase uno salva i bilanci lasciando crescita e occupazione al palo. C’è da aspettarsi una inversione di rotta con la fase due?

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Warsamé Dini Casali