Renzi senza euro, taglio Irpef salta? Promesse mancate, Cottarelli scaricato

Matteo Renzi (foto Lapresse)

ROMA – Matteo Renzi è atteso alla prova dei fatti o meglio dei numeri, dopo i fuochi artificiali di promesse e battute da bar della settimana a Berlino e a Bruxelles.

La sparata più grossa di Matteo Renzi è stata quella sulle tasse: ha promesso di tagliare Irpef e Irap, naturalmente tenendo a cuore i suoi adorati descamisados che vuole sfilare a Beppe Grillo e i suoi amici industriali, massacrando il ceto medio con tasse, contributi straordinari sulle pensioni, patrimoniali più o meno camuffate.

Ora deve trovare i soldi e il suo angelo custode Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia, gli ha ribadito che non si scherza con i vincoli europei, frutto peraltro di impegni liberamente assunti dall’intero Parlamento alla quasi unanimità.

Sarebbe tanto semplice: tagliare un bel po’ di spese inutili, fare fallire baracconi colabrodo come il Comune di Roma, mettere mano a voci come quella degli F35 che obiettivamente è una scemenza inquietante. Privatizzare è una scemenza, già fatta in passato, per regalare a prezzi di saldo pezzi di patrimonio nazionale ai grandi capitalisti stranieri. Ma certe volte la sinistra è sorda, forse assordata dalla sua stessa retorica, e non sente la voce del buon senso. Privatizzare lo si deve fare quando è stato costruito un mercato e l’economia del mondo è in forte ripresa.

Ma dalle parti di Renzi il pensiero sembra girare nell’altro senso, come pontificò il guru israelo-americano Yoram Gutgeld, maitre à penser un po’ in calo del clan di Firenze.

Matteo Renzi si sente alle strette, giustamente non ha gradito le mosse di Carlo Cottarelli, che ora viene dato in disgrazia e sullo scivolo. Era stato messo alla revisione della spending review da Enrico Letta e grande persecutore dei pensionati fino ai più bassi livelli, tanto da giustificare crudeli, certo immotivati ma angoscianti pensieri. Lui viene dal Fmi, il Fondo monetario internazionale, che fu anche l’ispiratore della privatizzazione delle pensioni in Cile ad opera del generale golpista Augusto Pinochet.

La voce della caduta in disgrazia di Cottarelli è stata raccolta da Francesco De Dominicis su Libero, in un articolo che bene illustra i tormenti del giovane Renzi in economia politica:

“Il premier italiano deve passare dagli impegni ai fatti. Dalle parole alle decisioni sui quattrini. Tutto ruota attorno alla spending review, la revisione della spesa statale confezionata dal Carlo Cottarellie in parte già bocciata dallo stesso Renzi.

I nodi da sciogliere sono tanti. Coperture e tasse. Dalla reale portata delle sforbiciate al bilancio pubblico, infatti, dipende l’effettiva possibilità di poter avere risorse a disposizione (le coperture) da riversare sul piano «taglia tasse». L’esecutivo si è impegnato in Parlamento per ridurre l’Irpef di 10 miliardi di euro e l’Irap di circa 2,5 miliardi.

Sta di fatto che dal capitolo pensioni a quello sulla sanità sono tanti i dubbi che l’inquilino di palazzo Chigi ha sollevato in relazione alle proposte presentate dall’ex funzionario del Fondo monetario internazionale.

Una lunga lista di perplessità che, secondo taluni, potrebbe essere il preludio al «licenziamento» di Cottarelli. Renzi ha detto apertamente che non ha gradito il modo con cui è stato presentato il piano da parte del commissario e la creazione della cabina di regia economica a palazzo Chigi potrebbero rendere superflua la presenza di un consulente al Tesoro.

Il rischio di creare un pasticcio,dunque, è enorme e il tempo stringe: bisogna cominciare a mettere nero su bianco le cifre del programma.Il governo deve uscire allo scoperto e dovrà farlo giocoforza nei prossimi giorni con il Documento di economia e finanza: il primo Def dell’era Renzi.

Dunque torna il«rigore e sviluppo»di Tommaso Padoa-Schioppa: «Non abbiamo alternative» ha detto ieri a Cernobbio il responsabile dell’Economia, Pier Carlo Padoan rilanciando la formula dell’ex ministro.

Che da domani a via Venti Settembre dovrà chiudere il Def indicando i numeri macroeconomici del prossimo triennio. Quelli su cui si baserà la prossima legge di stabilità e, come accennato, l’intervento sulle tasse che Renzi vuole rendere concreto con la busta paga di maggio.

Sia la Germania sia i vertici dell’Unione europea non hanno avallato la richiesta di Renzi di avere sconti per il calcolo del deficit. Dopo gli incontri europei, non è ancora deciso come si procederà per il 2014. Il precedente esecutivo ha fissato il deficit al 2,6% del pil con uno scarto di 0,4 punti fino al limite europeo del 3%. Resterebbe così un«margine» di 6,4 miliardi (ogni 0,1 punti di deficit sono circa 1,6miliardi) da impiegare per il calo delle tasse. Ma quel 2,6% si fonda su una crescita del pil all’1% che è frutto di una vecchia stima e che potrebbe essere smentita dai fatti, lasciando un pugno di mosche in manoal premier.

Lo stesso Padoan ha detto che i numeri che hanno sott’occhio sono più vicini a quelli della Commissione europea, che vede il pil italiano 2014 allo 0,6%. Pagamenti debiti Pa. C’è anche un’altra ipotesi che lascerebbe inalterato il livello del 2,6%: se il governo riuscirà a dar seguito alle misure annunciate (a partire dal pagamento per oltre 60 miliardi dei debiti della Pa) si stima infatti un effetto positivo sulla crescita di 0,5 punti.

Impatto che sul deficit avrebbe un effetto benefico di 0,2 punti: si libererebbero 3,2 miliardi lasciando il deficit al 2,6%.

L’ultima scelta deve essere «politica». Pensioni e sanità. Stesso discorso permettere mano alla previdenza e al comparto salute. Le sforbiciate suggerite da Cottarelli sono già state smontate dal presidente del consiglio Privatizzazioni. Il reperimento di risorse è in alto mare e Padoan ha rilanciato le privatizzazioni, accelerando la dismissione di quote di Fincantieri, Ferrovie dello Stato, Cassa depositi e prestiti.

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Marco Benedetto