TRENTO, 2 GIU – Siamo alla ricerca di una versione 3.0 del capitalismo, dopo quella liberista, che affidava agli Stati funzioni ‘minime’ di tutela dei mercati e della proprieta’, e quella basata su una governance attiva dei fattori economici e sociali da parte delle istituzioni nazionali.
Ma la soluzione non puo’ essere semplicemente una governance mondiale, modellata sulla globalizzazione economica. A tracciare quest’analisi, nella giornata inaugurale del festival dell’economia di Trento, e’ stato Dani Rodrik, docente a Harvard e considerato fra i cento economisti piu’ influenti del mondo, in un incontro sul futuro della globalizzazione.
Una governance mondiale, modellata sulla globalizzazione economica ”non e’ solo irrealistica e irrealizzabile – ha affermato Rodrik – ma forse anche non desiderabile, perche’ nei Paesi democratici l’economia ha bisogno di essere legittimata sul piano politico-istituzionale, e questa legittimazione oggi avviene prevalentemente su base nazionale”.
”Le prime teorie sul capitalismo, quelle di Adam Smith – ha spiegato l’economista – sostenevano che il mercato e la concorrenza sono i motori economici piu’ dinamici e piu’ adatti alla creazione della ricchezza. Lo Stato, in quest’ottica, conservava alcune funzioni minime. E’ la versione 1.0 del capitalismo, alla base del liberismo odierno, ancora molto in voga negli Usa. La versione 2.0 della teoria capitalista si basa sull’idea che i mercati presentano dei limiti e hanno bisogno di istituzioni e meccanismi di governance che ne garantiscano il buon funzionamento. Per Keynes il mercato non si autostabilizza, ne’ si autolegittima. Nella fase attuale viviamo una spinta verso la iperglobalizzazione, che guarda con favore all’abbandono di ogni norma o regola che disciplini gli scambi fra i Paesi. Il problema che la globalizzazione pone oggi e’ un problema di legittimita’: le regole che avevamo sono palesemente inadeguate, soprattutto nel campo della finanza”. .
