Salvatore Tropea racconta la marcia dei 40 mila a Torino

Il 14 ottobre del 1980 segnò una svolta delle relazioni sindacali italiane, anzi, nella storia d’Italia.Intorno a un primo nucleo di quadri Fiat scesero in piazza a Torino 40 mila cittadini di tutte le condizioni, stanchi di oltre dieci anni di scioperi, cortei, dimostrazioni, turbolenze che avvelenavano la città e l’intero paese. Fu la fine di una vertenza che vide anche l’occupazione dello stabilimento simbolo di Mirafiori, alle porte di Torino da parte dei sindacati dei metalmeccanici, cui diede erronea e incauta copertura politica il Pci di Enrico Berlinguer.
Salvatore Tropea, uno dei giornalisti che meglio conosce le vicende Fiat dell’ultimo mezzo secolo, ha ricordato quel giorno per il quotidiano la Repubblica. Il suo articolo comincia così:
Enrico Berlinguer aveva promesso: “Se si arriverà all’occupazione della Fiat noi metteremo al servizio della classe operaia il nostro impegno politico, organizzativo e di idee”. E aveva scatenato un putiferio. Con non minore imprudenza Giorgio Benvenuto aveva coniato lo slogan: “O la Fiat molla o molla la Fiat”. Sulla linea intransigente della Fim Cisl torinese, Pierre Carniti aveva potuto minacciare in ritardo e inutilmente: “Siete stati bravi, ma io domani ne porterò in piazza 150 mila”. Luciano Lama e Bruno Trentin avevano tentato, senza successo, di far ragionare l’azienda e l’ala radicale del sindacato in parte vicina ai “professorini” – l’allusione era ai maestri del terrorismo – contrari a ogni ipotesi di dialogo e fautori dello scontro duro che predicavano dagli autobus-caravan parcheggiati davanti alla Mirafiori. All’origine di tutto questo c’erano 14 mila 449 licenziamenti poi trasformati in cassa integrazione a zero ore per oltre 22 mila lavoratori, una Fiat bloccata dai picchetti, una Torino su cui pesava l’ombra del terrorismo. E fu la “marcia dei quarantamila”.

Accadde nell’autunno di trent’anni fa, esattamente il 14 ottobre 1980, una di quelle giornate torinesi di sole scialbo e freddo quasi invernale.

Leggi l’articolo originale da: Repubblica.it

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