Le banche perdono qualche ” pelo” ma non certo il vizio. E il vizio in questione si chiama gigantismo: aumentare fatturato e volume di affari in modo tale da diventare troppo grandi per fallire, “too big to fail” come dicono gli americani.
Americani che, in effetti, con le mega banche hanno già avuto qualche problema: la Lehman Brothers è andata giù, la Goldman Sachs, invece, ha intascato l’aiuto pubblico si è rimessa in sesto, e dopo aver ricominciato a generare profitti l’ha restituito in modo tale da poter continuare ad operare da banca d’affari, esattamente come prima della crisi finanziaria.
Eppure la “cura dimagrante” delle banche è, o almeno dovrebbe essere, uno dei punti nodali della nuova economia post recessione insieme allo stop agli aiuti pubblici per gli istituti di credito. Ma le banche fino ad ora hanno fatto orecchie da mercante e, invece che mettersi a dieta, hanno continuato ad allagare il loro giro di affari. In Europa, per esempio, le attività degli istituti di credito sono cresciute del 25%, negli Stati Uniti l’aumento è stato del 20%.
L’agenzia economica Bloomberg in un suo rapporto scrive che negli ultimi due anni 353 istituti di credito hanno aumentato le loro attività e 15 fatturano più del pil del loro paese. Qualche esempio: il valore degli asset della francese Bnp Paribas in due anni è aumentato del 59%, toccando quota di 2 mila e 290 miliardi di euro (il 117% del Pil francese). La britannica Barclays ha fatto segnare un +55% e ha iscritti a bilancio asset per mille e 550 miliardi di sterline (il 108% del Pil britannico).
Cifre che non fanno pensare ad una voglia pazza di mettersi a dieta nonostante da più parti arrivi l’invito a ridurre il volume d’affari anche perché i governi europei hanno già sborsato 5 mila e 300 miliardi di dollari in aiuti di stato o salvataggi bancari. Una cifra che, in caso di nuovo crack bancario, impedirebbe, soprattutto alle piccole nazioni, di intervenire nuovamente e parare il colpo.
Ma le banche non vogliono sentir parlare di ridimensionamento. Il colosso svizzero Ubs, per esempio, non appena le autorità elvetiche hanno provato a parlarne, ha subito minacciato di levare le tende. “Troppi paletti” dicono. Il fatto che il governo invece, ad inizio crisi abbia immesso sei miliardi di franchi per salvare la banca, e che Ubs abbia attività totali pari a sette volte il pil nazionale, non disturbano i dirigenti del colosso elvetico.
Lo spauracchio economico si chiama “rischio sistemico”: il primo dicembre ne ha parlato il Financial Times, parlando di una lista di grandi istituzioni finanziarie che, se si trovassero in difficoltà, manderebbero in tilt l’economia. Il Financial Stability Board ha negato l’esistenza della lista ma il problema, nella sostanza resta: ci sono banche troppo grandi, istituti che “non possono fallire” anche se dovrebbero.