Un altro scossone al mercato italiano Moody’s lo ha dato il 23 giugno, annunciando che avrebbe messo sotto esame ben 16 primarie banche e due istituti finanziari italiani legati allo Stato per i quali era possibile un downgrade: immediato il crollo dei valori in Borsa. Una riduzione di un voto in pagella costa all’emittente, sia esso Stato o corporation, un aumento di quasi mezzo punto nel costo della raccolta di credito sul mercato. Con un debito sovrano come quello italiano uno “starnuto” di S & P può significare un maggiore esborso miliardario: è ben spiegabile l’apprensione, il timore reverenziale, la fifa e anche un po’ l’odio con cui molti paesi guardano ai pronunciamenti dei maestrini d’Oltreoceano.
Da cosa deriva il potere senza pari di queste inflessibili signore del rating? Sono autorevoli proprio in quanto inflessibili? Balle. In realtà nei loro armadi le agenzie nascondono numerosissimi scheletri, molti dei quali per la verità sono ben noti ma non le hanno indebolite: continuano a dettar legge. Clamorosi i casi di due grandi gruppi collassati negli scorsi anni: Enron e Lehman Brothers. Fino a pochi giorni prima del loro crollo le “autorevolissime” agenzie li avevano valutati con i massimi gradi di sicurezza. Per non parlare delle promozioni a pieni voti elargite prima del 2007 a numerosissimi titoli americani basati su mutui che sovrastimavano i valori immobiliari e che precipitarono gli Usa, e il resto del mondo, nella crisi finanziaria del 2007-2008.
E che dire, per tornare ai casi nostri, di Parmalat a cui S & P attribuiva – ancora pochi giorni prima del crack da 14 miliardi di euro che ha messo sul lastrico decine di migliaia di risparmiatori, fornitori, dipendenti, ecc. – un rating di tutto rispetto (BBB-/A3)? In questi giorni il Tribunale di Milano ha stabilito, bonta sua!, che S & P deve restituire i compensi percepiti per le attribuzioni di rating “investment grade” alla Parmalat negli anni precedenti il crollo del gruppo di Calisto Tanzi. Una bazzecola, 784 mila euro più le spese processuali, mentre l’agenzia non è stata condannata a pagare i danni delle sue dissennate stime, danni che sarebbero stati ben altrimenti elevati. La giustificazione delle teste d’uovo di S & P? Abbiamo sbagliato il rating perché Parmalat ci forniva dati falsi e “fuorvianti”! Cioè questi signori che si fanno strapagare per le loro autorevoli valutazioni si fanno “fuorviare” dal Cavalier (ex) Calisto e non si prendono neppure la briga di verificare l’attendibilità delle cifre, di farsi venire qualche dubbio da studente dell’ultimo anno dell’istituto tecnico commerciale di fronte a un bilancio così macroscopicamente fasullo!
