Come diceva Giulio Andreotti? “A pensar male si fa peccato ma quasi sempre ci si azzecca”. E nel caso in oggetto è difficile non fare malevole illazioni sul fatto che i rating dei grandi gruppi industriali o bancari vengono profumatamente pagati dai medesimi alle agenzie. Quelli invece che riguardano i debiti sovrani sono spontaneamente offerti (in pasto) al mercato da S & P e compagnia. Sarà per questo che con i primi le agenzie sono state per tanti anni, fino alla crisi 2007-2008, di manica larga, anzi larghissima, mentre con i secondi si comportano da Terminator (caso Argentina a parte)?
Ha dunque ragione Frau Merkel ad arrabbiarsi. Peccato che i rating delle già citate agenzie (in tutto sono un centinaio, ma le tre nominate all’inizio, e specialmente le prime due, sono di gran lunga predominanti) molto spesso vengano utilizzati dalle istituzioni pubbliche, europee e non, per valutare le strategie di investimento di fondi, banche, assicurazioni. La cancelliera, ma ormai non solamente lei fra i leader europei, si è resa conto che le “previsioni” delle agenzie sono magari sballate e basate su analisi poco serie ma finiscono per autoinverarsi grazie all’autorevolezza (spesso non giustificata) della fonte. In altre parole, se un’agenzia prevede un default, questo pronostico può essere decisivo per farlo effettivamente verificare. E se assegna un basso rating a un titolo, la sua valutazione può costare salatissima allo Stato o all’impresa emittente, anche se non vi sarebbero altri motivi per riconoscere alti tassi di interesse sui loro bond. E noi paghiamo, direbbe Totò.
