Spiagge ai privati, concessioni tagliate a 20 anni. Gli ambientalisti e la Ue: “Non basta”

ROMA – Non più 90 anni ma 20, un quinto di secolo. La concessione del diritto di superficie sulle spiagge – contenuto nel decreto Sviluppo firmato venerdì 13 maggio  dal capo dello Stato – scende così  di 70 anni sia per la mediazione con lo staff del Quirinale sia in risposta alle osservazioni mosse dall’Ue. Ma per gli ambientalisti, a cui si sono aggregati ora anche i sindaci, non cambia niente. L’obiettivo delle associazioni rimane quello di proteggere le coste da quello che potrebbe rivelarsi come il diritto a ”una cementificazione selvaggia”.

In ogni caso la concessione dovrà essere rilasciata rispettando i principi comunitari tra cui ”economicità, efficacia, imparzialità”’, e saranno affidate attraverso un’asta pubblica, mentre finora c’era un rinnovo pressoché automatico a chi deteneva la concessione. I costi relativi al diritto di superficie per le spiagge saranno individuati da un decreto di natura non regolamentare del ministro dell’Economia e le risorse affluiranno in un Fondo per poi venir ripartite a favore del territorio interessato. Secondo Chantal Hughes, portavoce del commissario Ue al mercato interno, la durata delle concessione delle spiagge ai privati deve ”essere appropriata”, cioè in grado di far recuperare gli investimenti.

Quanto alla procedura di infrazione contro l’Italia, osserva Hughes, è avviata per ”la mancanza di un sistema di rinnovo delle concessioni basato sulle aste anziché per via automatica”. Ma per il ministro del Turismo, Michela Vittoria Brambilla, sarebbe stato preferibile che ”il diritto di superficie” avesse avuto ”una durata ancora superiore a quello previsto nella versione firmata oggi dal capo dello Stato”, come nella prima formulazione. Ma – rileva – ”non possiamo che accogliere le modifiche richieste dal Quirinale”.

Per Riccardo Bordo, presidente del Sindacato italiano balneari (Sib), il ”cambiamento di rotta” lascia ”sorpresi” e desta ”amarezza”, oltre a non essere ”prevedibile”. Sono però Fondo ambiente italiano (Fai) e Wwf Italia a parlare di ”inghippo” e ”rischio cementificazione per le spiagge”: entrambe le associazioni chiedono di tornare ”al diritto di concessione ora in vigore”. Si riduce in sostanza – evidenziano Fai e Wwf – ”il potere dello Stato sulle coste”. E sulla scia di un’iniziativa di Legambiente si muovono anche i primi sindaci contro quella che chiamano ”la svendita” del litorale italiano.

Per ora undici primi cittadini hanno firmato l’appello: Capalbio, Maratea, Villasimius, Senigallia, Noto, Otranto, Ostuni, Pollica, Favignana, Isola Capo Rizzuto e Posada, a cui si e’ unito il presidente di Federparchi, Gianpiero Sammuri, in rappresentanza delle aree marine protette. Insieme si oppongono al decreto e soprattutto all’apertura ”a nuove edificazioni nella fascia dei 300 metri dalla battigia”. Questa – dice Sebastiano Venneri, vicepresidente di Legambiente – è  ”la prova che quel provvedimento non fa bene al turismo e uccide il paesaggio” come dimostra il fatto che i sindaci firmatari rappresentano alcuni dei comprensori turistici più importanti del Paese. Si prefigura anche la piazza contro ”la privatizzazione e cementificazione delle spiagge”. L’idea la lancia Angelo Bonelli, presidente dei Verdi, per il prossimo 18 giugno che annuncia un esposto all’Europa in difesa degli arenili italiani.

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Emiliano Condò