Che significa “spread”, “bund”, “short selling”: il lessico (ormai famigliare) della crisi

foto Ap/Lapresse

ROMA – Come si misura lo stato di salute di un Paese? Si potrebbe quasi dire dal suo spread. Ma che cos’è lo spread? Il termine inglese, che letteralmente significa diffusione o ampiezza, rappresenta il differenziale tra due rendimenti. Nello specifico, in finanza indica lo scarto tra i rendimenti dei titoli di Stato decennali di un Paese (i Btp, o Buoni del tesoro poliennali, nel caso italiano) comparati a quelli dei titoli di Stato tedeschi (i Bund), considerati come termine di riferimento europeo e mondiale. (Leggi qui e qui gli altri termini del vocabolario della crisi)

Con le emissioni dei buoni del tesoro gli Stati si finanziano sui mercati. I rendimenti dei titoli vengono fissati con un’asta. Più lo spread è alto più è alto il rischio di insolvenza associato a un titolo di Stato e, di conseguenza, della salute finanziaria di un Paese.

Detto altrimenti, lo spread misura il costo di finanziamento del debito pubblico di uno Stato. Presa la Germania come il Paese più affidabile e solido, lo spread indica quanti più interessi deve pagare uno Stato per piazzare i propri titoli e si misura in centesimi di punti percentuali.

Lo spread tra i Btp decennali e i Bund tedeschi a 10 anni ha raggiunto livelli da primato. E’ un record dall’introduzione dell’euro e indica un aumento del costo per l’Italia di finanziarsi sui mercati. Nuovi picchi hanno raggiunto anche gli spread di Portogallo e Irlanda, ma anche la Francia è al massimo livello da marzo 2009.

I titoli possono anche essere venduti senza che se ne abbia davvero il loro possesso. Sono gli short selling, o vendite allo scoperto: si tratta di operazioni speculative che sfruttano la possibilità di vendere titoli senza averne possesso e di acquistarli solo in seguito per consegnarli alla controparte.

Il short selling è una manovra prevista dai mercati finanziari, solitamente legata ad attese e speculazioni su un prezzo. Le vendite di solito sono legate ad attese – o a speculazioni – su un prezzo in calo e possono rappresentare un ‘pericolo’ e una fonte di ulteriore instabilità dei mercati, se effettuate da grandi investitori come gli hedge fund, ovvero i fondi di investimento ad alto rendimento e ad alto rischio.

Per questo motivo la Consob, cioè l’autorità italiana che vigila sulle società e la Borsa, ha imposto un obbligo di comunicazione per le vendite allo scoperto di dimensioni importanti. L’obbligo scatta per le operazioni che raggiungono lo 0,2% del capitale della società e, successivamente, a ogni variazione pari o superiore allo 0,1% del capitale.

Sempre la Consob interviene in un’altra circostanza, ovvero quando i prezzi di un titolo9 oscillano oltre una certa soglia, stabilita per le azioni al 10%. In questi casi la Consob, per evitare turbolenze eccessive sui mercati, sospende le negoziazioni su quel titolo. Alla sospensione segue un’asta di volatilità per fissare un nuovo prezzo.

 


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Maria Elena Perrero