BUENOS AIRES – Tango bond, l’Argentina paga i risparmiatori italiani. Buenos Aires ha ceduto e ha chiuso una ferita durata quasi 15 anni, che ha pesato a lungo nei rapporti fra due Paesi legati da vincoli storici, economici e di ‘sangue’.
I Tango bond hanno rappresentato infatti, assieme a Cirio e Parmalat per arrivare ora alle quattro banche in risoluzione (Etruria, Marche, CariFe e CariChieti), un paradigma del ‘risparmio tradito’.
L’accordo preliminare firmato dal nuovo governo guidato da Mauricio Macri con la Tfa guidata dal banchiere Nicola Stock che raggruppa gli oltre 50mila risparmiatori italiani prevede un pagamento di 1,35 miliardi di dollari in contanti (il valore del capitale dei bond è di 900 milioni) e chiude il contenzioso avviato all’Icsid (il tribunale della Banca Mondiale) che Buenos Aires aveva cercato in vari modi di ostacolare.
In questo modo l’Argentina guadagna punti nella considerazione sui mercati internazionali da cui è di fatto esclusa da anni per via della politica della precedente presidente peronista Cristina Kichner e spiana la strada per un rapporto più stretto con l’Italia che possa far ripartire interscambio e investimenti, ora molto ridotti rispetto agli scorsi anni.
Certo il corrispettivo è inferiore al ‘petitum’ di 2,5 miliardi avanzato dalla Tfa e non comprende gli interessi trattandosi appunto di un accordo di risoluzione della controversia che ristorna il capitale investito più un 50% come compensazione. Ma è un pagamento che verrà in tempi brevi e sopratutto non in nuova ‘carta’ argentina ma in contanti.
Dopo il via libera del Congresso argentino atteso all’inizio di aprile il pagamento potrebbe concretizzarsi a maggio o giugno. Dettagli non di poco conto visto che l’Argentina dopo il default aveva ristrutturato unilaterlamente il debito e tagliato il valore delle obbligazioni del 70% lanciando due offerte di cambio nel 2005 e nel 2010.
Oltre il 90% aveva aderito o ceduto i propri titoli. Ma un gruppo di hedg fund capitanati dalla Elliot del finanziere americano Paul Singer e chiamati in Argentina ‘buitres’ (avvoltoio) si è sempre dichiarato contrario a ogni haircut ingaggiando una furiosa battaglia giudiziaria contro Buenos Aires in tutte le sedi, arrivando anche a pignorarne la nave scuola della Marina Militare e ottenendo poi giudizi favorevoli (ma non ancora denaro) alla Corte di New York.
Proprio in queste ore si stanno svolgendo nuovi negoziati fra il nuovo governo e i fondi che reclamano un conto salatissimo fra i 9 e 10 miliardi di dollari a causa degli interessi accumulati negli anni. Diverso il caso della Tfa costituita dalle banche italiane che scelse una strada diversa nel 2006: consigliare i risparmiatori a non accettare e portare la controversia al tribunale Icsid. Decisione criticata all’epoca perchè lunga e incerta ma che, va detto, alla fine sembra aver pagato.
I 450mila che delegarono la Tfa a negoziare sono ora 50mila, molti dei quali anziani ma che appunto riceveranno un buon risarcimento. Certo l’accordo è preliminare e dovrà passare il vaglio del Congresso Argentino ma i fondi ci sono.
A rimpinguare le riserve della Banca centrale, finite a livelli di sicurezza per via della recessione e del tentativo di fissare un tasso di cambio della precedente amministrazione (quella nuova ha svalutato del 40%), sono arrivati 5 miliardi di un prestito di 7 banche internazionali.
E l’obiettivo di Macri e della sua squadra di economisti è quello di tornare, grazie al peso favorevole e all’abolizione delle misure protezionistiche ad attrarre capitali. Certo i prezzi delle materie prime non sono più quelli di qualche anno fa e il contesto economico mondiale non aiuta. Tutte sfide non facili.