La quota che Telefonica detiene in Telco, la scatola che controlla Telecom Italia, «è un problema rilevante che si deve risolvere» al quale «penserà l’azienda», ma su cui «il governo è molto attento».
Il viceministro allo Sviluppo economico, Paolo Romani, accende un faro sull’azionariato dell’operatore telefonico e, a poche settimane dal giorno fatidico per rinnovare il patto che lega gli spagnoli agli altri soci della holding, apre lo scenario su un possibile rimescolamento delle carte in nome dell’italianità dell’azienda.
In un’audizione alla Commissione Affari Costituzionali della Camera, Romani ha risposto a una domanda su Telecom del deputato della Lega Raffaele Volpi, ribadendo per l’ennesima volta che il governo spinge perché «l’infrastruttura di rete rimanga italiana» ma poi è andato oltre: la quota che Telefonica detiene in Telco, che è pari al 42,3%,«è un problema rilevante che si deve risolvere» ha detto, aggiungendo che «ci penserà l’azienda» ma avvertendo che il governo non si chiamerà fuori, anzi, «starà molto attento».
Certo, ha sottolineato in seguito, «il governo non può prendere posizione: si tratta di un’azienda privata, con tanto di regole» ma le sue parole non sono passate inosservate in vista del 28 ottobre, giorno entro il quale devono arrivare le eventuali disdette al patto che lega Telefonica, Generali, Mediobanca, Intesa SanPaolo e Sintonia.
Se secondo Romani gli spagnoli sono «un problema da risolvere», probabilmente anche per gli ostacoli all’attività di Telecom in Argentina (Paese dal quale è imminente l’uscita) e in Brasile, si tratta di capire da chi potrebbero essere sostituiti. Principale indiziato è la Findim della famiglia Fossati, che, forte del suo 5% di Telecom fuori da Telco, non più tardi di tre settimane fa aveva ribadito la necessità di dare al gruppo telefonico «un assetto strategico definitivo per il futuro», chiarendo i rapporti con gli spagnoli o trovando partnership alternative; recentemente alcune banche d’affari avrebbero anche studiato l’ipotesi di un’alleanza con le Poste; mentre in passato, e in diverse occasioni, il mercato aveva guardato a un matrimonio con Mediaset, sempre smentito dai vertici della società televisiva.
Il pressing del Governo, in ogni caso è per un’italianità dell’infrastruttura, e quindi in qualche misura anche del gruppo, per il quale, secondo alcune fonti, si potrebbe poi lavorare ad accordi internazionali su specifici temi. Il viaggio di Romani in Cina, di cui ha parlato La Repubblica tuttavia, non ha attinenza con questa vicenda: «Non c’entra nulla con l’azienda Telecom» ha assicurato Romani, spiegando di essere andato in estremo oriente «per parlare di infrastrutture e per vedere come lavorano».
In Borsa, intanto, il titolo chiude a 1,22 euro, in calo del 1,61%. Cauta, forse, anche per le parole del presidente di Telecom Gabriele Galateri, che potrebbero far pensare al rinvio di un possibile rimpasto. Galatieri nei giorni scorsi aveva detto che i soci di Telco sono «collaborativi e costruttivi», aggiungendo che le sinergie con Telefonica vanno sfruttate «fino in fondo».