Tasse sparite in 135 comuni, amministrazioni sull’orlo del crack e oltre mille posti di lavoro a rischio. Tutto per una società, “Tributi Italia” che si occupa di riscuotere imposte e balzelli e dovrebbe riversarli alle amministratori competenti. Dovrebbe, appunto. Ma il condizionale è d’obbligo perché quei soldi (frutto del versamento di Ici, Tosap e Tarsu) nelle casse dei comuni non sono mai arrivate.
La Tributi Italia per ora si limita a parlare di “tensioni finanziarie”, se la prende con il taglio dell’Ici e afferma la sua intenzione di onorare tutti gli impegni. Per ora il gruppo fondato da Giuseppe Saggese ha chiesto un finanziamento da 70 milioni ma la situazione è critica non solo per i numerosi esposti presentati alla corte dei conti ma anche perché i 1200 dipendenti della società non vedono un euro da quattro mesi.
Saggese, 48 anni, è una vecchia conoscenza della giustizia italiana: un arresto nel 2001 per corruzione (una storia di mazzette nel Comune di Potenza, in provincia di Roma) e un altro più fresco, ad aprile 2009 per peculato. Per evitare problemi Tributi Italia è formalmente amministrata dalla sorella di Saggese, ma le grane non mancano.
Ad inaugurare i ricorsi è stato il comune di Aprilia nel 1999, seguito in breve termine da una serie di inchieste per peculato condotte da Procure sparse ovunque nella penisola, da Bari a Bologna passando per Velletri, Siracusa e Sassari.
Il caso, e non poteva essere altrimenti, è finito anche alla Camera dove sono fioccate le interrogazioni parlamentari e il responsabile del Tesoro ha riconosciuto che si tratta di un «caso inquietante».
Anche perchè i Comuni, in attesa che la Tributi Italia si decida a versare il dovuto, hanno dovuto fare ricorso al debito. E chi soffre di più sono soprtattutto le amministrazioni dei paesi medio piccoli come Pomezia che vanta un credito con la società di Saggese di 21 milioni e Aprilia che deve averne 20. Alla faccia delle “tensioni finanziarie”.
