NEW YORK – Bernard L. Madoff, ideatore della più grande frode finanziaria della storia, concede, dopo mesi di silenzio, un’intervista ad un giornale, il prestigioso New York Times. Era dal dicembre 2008 – quando fu imprigionato– che la sua voce non era finita tra le colonne della carta stampata. Da allora, molte cose sono cambiate e il broker di successo è diventato un “semplice” detenuto condannato a 150 anni di carcere. Nella sala visite della prigione di Otisville, 150 kilometri da Manhattan, “sembra più fragile e confuso, rispetto al Madoff quello stoico e rassegnato degli ultimi giorni di libertà. E’ provato dalla prigione; forse anche dal lutto che ha recentemente colpito la sua famiglia, il suicidio del figlio Mark.
Ma per molti aspetti Madoff non sembra cambiato. Parla a lungo e con veemenza delle sue attività finanziarie, dei suoi rapporti con le banche ed i fondi di investimenti. E se sostiene, come ha sempre fatto, che la sua famiglia fosse totalmente estranea alla frode, per la prima volta afferma che le banche e i fondi finanziari fossero in qualche modo “complici” nella sua frode. Una nuova versione, dunque, per spiegare uno dei capitoli più neri di Wall Street. « Dovevano sapere – dice Madoff – ma l’attitudine era “Se stai facendo qualcosa di sbagliato noi non vogliamo saperlo”». Difatti, negli ultimi mesi, gli investigatori sono venuti a conoscenza di mail e messaggi che i banchieri si scambiavano e che mettevano seriamente in discussione i risultati di Madoff. « Sto capendo ora quanto fossero sospettosi. Non me lo potevo immaginare all’epoca » – afferma con un flebile sorriso.
Inizialmente Madoff non aveva affermato che le banche fossero a conoscenza del suo schema di Ponzi, una frode durata 20 anni e che è risultata in un ammanco di 65 miliardi di dollari. L’ex broker sembrava piuttosto indicare una mancanza di controllo e aveva parlato di una “cecità deliberata” da parte degli istituti. In una mail inviata nel dicembre del 2010 sembra, per la prima volta, Madoff cambia idea e scrive al giornalista del Times, di aver fornito a Irving H. Picard, l’avvocato incaricato di recuperare il denaro per conto delle vittime, tutte le informazioni utili «per recuperare beni da quelle persone complici nel casino in cui mi sono messo». Qualche giorno dopo diviene più esplicito: «Sto dicendo che le banche e i fondi erano complici in un modo o nell’altro».
Le parole di Madoff non possono che essere prese con cautela. Lui stesso è consapevole che una sua eventuale testimonianza, in un processo con le banche, sarebbe facilmente discreditata. Chi per anni ha ingannato i sedicenti sofisticati analisti finanziari ed ha truffato decine di persone (compresi istituti di carità) non può diventare da un giorno all’altro un testimone fededegno. Inoltre perché Madoff, dall’inizio del processo, si è accollato l’intera responsabilità del disastro finanziario e non ha condiviso le sue informazione con gli inquirenti quando questi sarebbero stati ben disponibili ad ottenere indicazioni preziose? Come che sia resta il fatto che nei mesi che hanno seguito l’incontro tra Madoff e l’amministratore fiduciario Picard, sono state intentate cause per il valore di 90 miliardi di dollari per recuperare il denaro che si suppone sia passato, attraverso le mani di Madoff nelle tasche di istituti finanziari. Tra gli imputati si trovano diversi fondi e banche, come la banca JPMorgan Chase eil finanziere viennese Sonjia Kohn che per anni hanno investito massicciamente con Madoff.
