Indagine Usa su Standard & Poor’s: vendetta o conflitto di interessi?

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ROMA – Il Dipartimento di Giustizia Usa ha aperto un’inchiesta sui giudizi eccessivamente positivi attribuiti dall’agenzia di rating Standard & Poor’s ai titoli tossici della crisi dei mutui subprime. Potrebbe sembrare una vendetta ben congegnata anche se l’origine delle indagini, che si collocherebbe ben prima del mal digerito declassamento del rating Usa, farebbe pensare il contrario. Certo la tempistica dell’apertura dell’inchiesta lascia più di un dubbio in merito.

A qualche settimana di distanza dal suo giudizio di declassamento del rating sui titoli di Stato degli Usa, scesi per la prima volta nella storia al di sotto della rassicurante soglia massima della tripla A, l’agenzia di rating Standard & Poor’s viene quindi messa sotto inchiesta dal Dipartimento di Giustizia di Washington con l’accusa di aver espresso consapevolmente un giudizio troppo ottimistico sui quei titoli tossici del mercato immobiliare all’origine della più grande crisi del dopoguerra. A rivelarlo è il New York Times citando fonti anonime ma bene informate sulla vicenda.

Nel periodo poco prima la crisi infatti S&P, la principale agenzia di rating d’America e del mondo, avrebbe sopravvalutato alcuni titoli. Alcuni analisti, incaricati di emettere un giudizio, avrebbero quindi espresso inizialmente valutazioni poco positive al riguardo, salvo essere successivamente indotti dai loro superiori a modificare il proprio rating. E così, le future obbligazioni “tossiche”, che avevano come  effetto collaterale proprio i famigerati mutui subprime, sarebbero state successivamente promosse al massimo grado di investimento. Convincendo di fatto gli investitori a puntare i propri risparmi su una scommessa apparentemente sicura ma in realtà del tutto fallimentare.

Ad ogni modo l’inchiesta ha già sollevato parecchi dubbi relativi al forte potere assunto dalle agenzie come S&P. Alla base c’è un conflitto di interessi che le caratterizza. Le agenzie vengono infatti retribuite dagli stessi emittenti di prodotti finanziari che esse stesse sono chiamate a valutare. Inevitabile che una propensione all’ottimismo finisca quindi per costituire un vantaggio competitivo sul mercato.
Proprio Standard & Poor’s è una società totalmente esposta sul mercato, il che significa che tutte le sue quote azionarie sono disponibili alla

negoziazione. Ad oggi, il suo azionista di maggioranza risulta essere il gestore di fondi statunitensi Capital World Investors, che ne detiene una quota proprietaria pari al 12,45%. Accanto ad esso altri colleghi del mercato della gestione finanziaria come State Street (4,39%), Vanguard (4,22%), BlackRock (3,89%), Oppenheimer Funds (3,84%), T. Rowe (3,36%), Jana Partners (2,95%) e il fondo pensione degli insegnanti dell’Ontario (2,27%). Tra i componenti del Cda, il presidente della società Harold Mc Graw III (proprietario al 3,96%) ma anche Sir Winfried Bischoff (Lloyds Banking Group) e altri illustri ex esponenti di colossi come Coca Cola o British Telecom.

Leggendo il Cda e gli azionisti di altre due importanti agenzie come Moody’s e Fitch si scopre che la musica non cambia. Al momento però non appare chiaro se indagini analoghe siano state avviate anche nei confronti delle altre due principali agenzie di rating.

Nel corso delle indagini il dipartimento di Giustizia avrebbe chiesto alle persone interpellate se si siano registrati casi in cui il parere negativo di un analista sul profilo di uno strumento finanziario sia stato modificato e addolcito a seguito dell’intervento di un business manager di S&P. Se questo venisse provato, verrebbe a cadere il presupposto dell’indipendenza del giudizio degli analisti da considerazioni di carattere finanziario per l’azienda. Secondo gli esperti l’indagine potrebbe avere conseguenze rilevanti non solo per S&P ma anche per l’industria nel suo complesso.

Gli inquirenti del dipartimento di Giustizia avrebbero chiesto in particolare chiarimenti su una frase pronunciata dall’ex co-direttore dei rating sui Cdo di S&P, David Tesher, che in una conversazione avrebbe esortato a “non uccidere la gallina dalle uova d’oro”. Contattata dal New York Times, S&P non ha comunque fornito commenti a queste indiscrezioni sull’ex dirigente.

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Alessandro Avico