Ue, fiscal compact: Monti chiede a Merkel un rientro morbido dal debito

ROMA – Austerità e crescita, l’agenda politica europea oscilla tra questi due poli: il vertice di oggi a Bruxelles servirà a preparare il varo e l’attuazione del fiscal compact fortemente voluto dalla Germania. Parliamo dell’accordo sul patto di maggiore disciplina di bilancio (vincolo al pareggio di bilancio, sanzioni automatiche per deficit eccessivi, riduzione del debito pubblico sotto il 60% del Pil). Un mini-vertice a tre aprirà a colazione i lavori dei 27 Paesi membri: Mario Monti è stabilmente entrato nel direttorio Merkel-Sarkozy, comunque un successo rispetto al gelo e l’isolamento cui veniva confinato Berlusconi, anche se appare un po’ troppo enfatico l’apprezzamento del Financial Times che qualche giorno fa si spingeva a considerare le speranze europee addirittura poggiate sulle spalle del primo ministro italiano.

L’affidabile economista Monti potrebbe riuscire, questo il senso dell’apprezzamento, laddove nessuno è riuscito finora: far capire alla Merkel che è ora di cambiare passo, molti sono convinti ormai che l’eccesso di rigore stia strozzando l’economia continentale. Ma il fiscal compact è il prezzo che la Merkel deve pagare al suo elettorato: nero su bianco gli stati devono sottoscrivere gli impegni per un maggior rigore contabile, altrimenti la Germania non aprirà mai i rubinetti per finanziare di più i fondi salva stati e meno che mai ragionerà sugli euro bond. Manca ancora da definire qualche dettaglio: i poteri e soprattutto la sede della Corte di Giustizia che comminerà le sanzioni, rintuzzare le pretese dei paesi ultra-rigoristi, calmare gli ” indignati” greci cui Berlino vuole sottrarre la politica di bilancio nazionale, trovare un compromesso con la Polonia che in procinto di adottare l’euro vuole partecipare alle discussioni.

Ma sulla crescita, nonostante l’enfasi con cui è finalmente entrata nel dibattito, non ci saranno molte novità. Genericamente si discuterà di ridurre la disoccupazione giovanile, ma l’obiettivo dei 4 mesi dopo i quali ogni giovane che esca dalla scuola deve ricevere un’offerta di lavoro, o di formazione o apprendistato, non scaturirà certo per miracolo dai discorsi di un vertice. Mario Monti inviterà i partner a esigere più Europa, più concorrenza, meno barriere commerciali, liberalizzazioni dei servizi e a procedere più rapidamente nel finanziare il sostegno alle piccole e medie imprese, sbloccando e ottimizzando risorse già stanziate.

Tuttavia, il compito più gravoso del primo ministro italiano, sarà convincere gli alleati (leggi convincere la Merkel) a considerare gli sforzi e le riforme compiute dall’Italia. Fiducia e stima sono forse recuperate, ma Monti deve cercare di negoziare un piano di rientro dal debito più morbido, meno aritmetico e più ragionevole. Qualche analista si spinge a considerare la possibilità che  Monti ritiri fuori una carta già giocata, con scarso successo, dal suo predecessore all’Economia, Giulio Tremonti, quella del saldo fra debito pubblico e debito privato. All’epoca la Merkel ignorò la proposta, ne riparla il Sole 24 Ore, di usare maggiore indulgenza contabile verso quei paesi, come l’Italia, che pur in presenza di un debito pubblico altissimo possono esibire ricchezza e risparmi privati in grado di sostenerne il peso: “I Paesi con una ricchezza finanziaria netta delle famiglie in percentuale del Pil superiore alla media dell’Eurozona, dovrebbero poter dedurre fino a 25 punti di Pil di tale ricchezza eccedente dall’ammontare del debito pubblico che va ridotto. In tal caso, assumendo che la ricchezza privata si mantenga ai livelli del 2010, i Paesi europei più ricchi a livello privato nel 2014 sarebbero obbligati a diminuire il proprio debito pubblico di un ammontare inferiore a quello attualmente previsto: l’Italia dell’1,7% (anziché del 2,9%)”.

D’altra parte, a tifare per Monti, non c’è solo il suo Paese e il Financial Times: anche Obama si sta spendendo molto per lui, sa che la congiuntura europea è potenzialmente letale anche per gli Stati Uniti. Lo ha già invitato a Washington magari per fargli vedere da vicino la timida  ma costante ripresa dell’economia americana dove dai consumi e dalle scorte delle aziende stanno arrivando segnali incoraggianti. L’economia è cresciuta del 2,8%, nulla di stratosferico ma meglio della calma piatta europea. Le elezioni in Germania ci saranno fra un anno, chissà che la Merkel non si metta alla guida di una politica economica più espansiva per l’Europa: negli Usa è l’unico modo per Obama per rivincere, in Germania per ora sembra accadere il contrario.

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Warsamé Dini Casali