Secondo il New York Times, la crisi greca rappresenta “la sfida più importante che si sia mai presentata finora alla moneta comune europea e all’ambizione di unità economica del continente. Il paese [la Grecia] è troppo grande poerché lo si possa lasciar fallire. La Grecia deve al mondo 300 miliardi di dollari e le banche più importanti sono imbiombate con gran parte del debito. Lasciare andare la Grecia in default avrebbe riflessi mondiali”.
Così, prosegue il New York Times, “un’onda di terrore si estende sugli altri paesi in difficoltà economiche alla periferia dell’Europa, rendendo ancor più caro il debito per Italia, Spagna e Portogallo”.
Segue un giudizio durissimo per noi e gli altri “periferici”: “Per quanti benefici abbia portato l’unione dell’Europa sotto un’unica valuta, la nascita dell’euro è avvenuta con un peccato originale: paesi come Italia e Grecia sono entrati nell’unione monetaria gravati da deficit di quanto fosse permesso dal trattato che diede vita alla moneta. Purtroppo però questi paesi, piuttosto che aumentare le tasse o ridurre le spese, hanno ridotto i loro deficit con i derivati”.
Anche la finanza pubblica greca si scopre, oltre che disastrata, anche poco trasparente, alla faccia delle regole condivise nell’Unione Europea. La storia ha avuto inizio otto anni fa e le sue conseguenze potrebbero pesare insopportabilmente sul futuro assai poco roseo delle finanze locali.
La banca d’affari statunitense Goldman Sachs avrebbe aiutato la Grecia a falsificare il proprio bilancio statale con un vero e proprio make-up del debito sovrano. A rendere possibile l’operazione sono stati alcuni derivati complessi conosciuti come cross-currency swaps. Attraverso di essi, la Grecia sarebbe riuscita a convertire in euro le sue emissioni obbligazionarie in dollari e yen.
Secondo il New York Times, una serie di meccanismi swap messi a punto dalle due banche hanno permesso alla Grecia di ipotecare alcuni settori della propria economia mascherando parte del debito alle autorità comunitarie di Bruxelles, perché le operazioni in questione, perfettamente legali, non appaiono come prestiti bancari ma come vendite con pagamenti differiti. In particolare, la Grecia avrebbe finanziato parte del suo deficit sulla sanità pubblica impegnando i futuri introiti sulle tasse aeroportuali, i pedaggi autostradali e gli incassi legati alle lotterie di stato.
Goldman Sachs nel 2001 costituì dei veicoli particolari uno dei quali denominato Eolo, come il dio dei venti, che assumeva le passività in cambio di impegni su introiti futuri del governo greco e consentiva di non farli contabilizzare nel bilancio pubblico. L’ex ministro delle Finanze George Alogoskoufis, criticò l’affare Goldman in Parlamento nel 2005 affermando che avrebbe pesato sui conti greci fino al 2019.
Anche quando la crisi era ormai vicina le banche americane di investimento erano alla ricerca di modi per aiutare la Grecia a procrastinare il giorno della resa dei conti. All’inizio di novembre – tre mesi prima che Atene diventasse l’epicentro del terremoto del debito sovrano nell’Eurozona – un’equipe di banchieri di Goldman Sachs arrivò ad Atene, secondo il New York Times, con una proposta per il nuovo governo che lottava per far fronte ai debiti e al deficit ormai al 12,7% del Pil.
I banchieri, guidati dal presidente di Goldman, Gary D. Cohn, proposero uno strumento di finanziamento che avrebbe ridotto il debito per l’assistenza sanitaria, utilizzando un metodo finanziario simile a chi garantisce i pagamenti della sua carta di credito con dei mutui ipotecari. Atene non accettò la proposta che avrebbe consentito di occultare il debito ancora per qualche tempo.