ROMA – “L’Italia potrebbe aver truccato i conti per entrare nell’euro”: l’accusa viene da The Source, una sezione del sito del Wall Street Journal dedicata agli affari europei. Accusa che non è nuova, come spiegheremo più avanti, ma che fa male in un periodo difficile per l’immagine del nostro Paese, che deve gran parte dei suoi problemi proprio a una crisi di credibilità.
L’articolo in questione è intitolato: “Berlusconi Shows Why Investors Should Be Nervous”, “Berlusconi mostra perché gli investitori dovrebbero essere nervosi”, e parte dalla discutibile idea di “Forza Gnocca” come nuovo nome del Pdl per dimostrare perché l’Italia abbia tanti problemi a piazzare i propri bond, ovvero a trovare investitori disposti a scommettere sul proprio futuro. Un futuro che fa paura, a dispetto dei dati dell’economia reale e dello stato delle finanze pubbliche. Certo, c’è il debito pubblico pari al 120% del Pil. C’è anche il problema della bassa crescita. Ma soprattutto pesa nello scetticismo di chi guarda all’Italia l’idea che il nostro Paese faccia fatica e continuerà a fare fatica a governarsi.
A questi tre fattori negativi, Alen Mattich del Wall Street Journal ci aggiunge il carico da 90: i conti italiani sono peggiori di quanto i nostri governi abbiano fatto vedere.
Ci sono tutte le ragioni per credere che il governo italiano sia stato almeno altrettanto aggressivo di altri paesi dell’area euro nel mascherare lo stato delle sue finanze pubbliche per guadagnare l’ingresso nella valuta unica. Se il debito pubblico di fondo dell’Italia, o se il suo deficit di bilancio dovessero rivelarsi superiori a quanto indicato dai numeri, allora una crisi di liquidità si trasformerebbe in un una crisi di solvibilità. Ricordiamoci lo shock degli investitori quando la Grecia ammise di aver truccato i suoi conti.
A cosa si riferisce Mattich? A una vecchia storia, già tirata fuori dal New York Times un anno e mezzo fa: l’Italia avrebbe agevolato il proprio ingresso nell’euro grazie a operazioni di finanza creativa, sottoscrivendo derivati alle banche di Wall Street. Blitz ricostruì la vicenda in un lungo e accurato articolo, recentemente ripreso dal sito Dagospia. Eccovi una sintesi:
Banche come Goldman Sachs e JPMorgan avrebbero aiutato i governi europei con le economie più scassate a mettere in ordine con della finanza i loro conti, in modo da consentire di passare sotto le forche caudine degli accordi di Maastricht sulla moneta unica e quindi di potere entrare nell’euro e di restarci senza pagare dazio.
Per le grandi banche di Wall Street, in cima alla lista Goldman Sachs e JPMorgan, era un’occasione troppo ghiotta quella di entrare in una simbiosi ad altissimo guadagno con governi dalle tasche bucate. La sola Grecia ha reso alla sola Goldman Sachs qualcosa come 300 milioni di dollari di parcelle. Cosa abbia pagato il governo italiano non si sa, ma è certo che sono stati tanti soldi.
Le rivelazioni sull’Italia non sono una novità, ma finora erano state limitate a discorsi di specialisti come il professor Gustavo Piga e in entrambi i casi nell’ambito del Coucil of Foreign Relations, una quasi centenaria istituzione americana, molto addentro alle segrete cose del mondo, ma di scarso sex appeal per il grande pubblico. Se ne parlò nel 2001, ma l’aggiustamento dei conti risale agli anni 1996 e 1997, quando l’Italia doveva ridurre i propri debiti per aderire all’Euro. All’epoca presidente del Consiglio era Romano Prodi, ministro del Tesoro era Carlo Azeglio Ciampi e ministro delle Finanze Vincenzo Visco.
Se ne occupò anche Financial Times, sempre nel 2001, scrivendo che, anche se nel 1996 l’Italia registrava un deficit di bilancio del 6,5 per cento del Pil, oltre il doppio di quello permesso da Maastricht, “nel 1999, anno del lancio della moneta unica, l’Italia aveva ridotto il deficit al di sotto del 2 per cento”.
Secondo il rapporto pubblicato dal Council on Foreign Relations, il fenomeno avrebbe avuto connotati molto preoccupanti perche rivelatore della possibilità che altri artifici del genere sarebbero stati messi in atto ai tempi anche da altri paesi. Seguiva una esortazione a vigilare di più sul mercato dei derivati dal momento che “tali abusi potrebbero continuare”.
Prodi fece il diavolo a quattro, disse che erano tutte balle. Berlusconi era tornato al Governo, ma cavalcare lo scandalo non gli conveniva, perché con il cerino in mano sarebbe rimasto lui. Dichiararono ufficialmente sia il Tesoro italiano sia le autorità di Bruxelles che l’operato dell’Italia aveva superato l’esame di Eurostat, cui compete la valutazione dei criteri per il calcolo del debito pubblico dei paesi europei che ne aveva certificato la regolarità. I giornali non capirono la vicenda. La storia morì lì.