Incentivi scandalosi, sprechi, poca energia prodotta: il business dell’eolico raccontato da Nino Cirillo sul Messaggero

Energia eolica

Il “business dell’eolico” è venuto a galla grazie all’inchiesta sulla cosiddetta P3 e agli interessi di Flavio Carboni in Sardegna, ma, a quanto pare, non è quella l’unica regione in cui si fanno affari in questo settore. Quanto costa lo sviluppo dell’eolico in Italia? Quanta è l’energia effettivamente prodotta? Il gioco vale la candela?

A tutte queste domande ha cercato una risposta Nino Cirillo, con un’inchiesta pubblicata a puntate sul Messaggero. Cirillo si è occupato in particolare degli impianti costruiti in Molise. Nel primo articolo Cirillo ha parlato “di incentivi scandalosi per quantità e durata”, di “corsa forsennata all’ultima pala che qualcosa frutterà anche se per ora non gira”, di “sviluppatori che stravolgono e offendono la quieta esistenza dei piccoli comuni giocando a nascondino con le royalties”, di “sprechi”, di “mafie in agguato”, di “bollette ogni giorno più care”.

Ecco nel dettaglio la sua analisi: “Le pale eoliche – il 98 per cento al Sud, e questo la dice lunga – producono 4.849 megawatt, tanto da porre l’Italia al terzo posto in Europa, ben distanziata da Germania (25.800) e Spagna (19.100) e inseguita da vicino da Francia (4.500) e Gran Bretagna (4.000). Bene, l’installazione e la manutenzione di una pala media in Danimarca – lo stato che ha investito più sull’eolico – in 15 anni di vita cosa un milione, mentre da noi, in Sicilia, viene il quadruplo. E sono pale che girano davvero poco: 1.880 ore sempre in Danimarca, 2.000 in Svizzera, 2.046 in Spagna. 2.066 in Olanda, 2.083 in Grecia, 2.233 in Portogallo e da noi soltanto 1.466 ore l’anno. Ma perché? «Una terra di vento e di sole – titolò il Financial Times qualche mese fa la sua inchiesta sull’energia eolica in Italia – ma senza regole adeguate». Nessuno se ne accorse, o forse fecero tutti finta di non accorgersene”.

Secondo Cirillo le cifre “sono sconvolgenti”: “Ci sono domande di connessione alla rete – oggi, nel 2010, in Italia – pari a 88.171 megawatt. L’Anev, l’Agenzia che raggruppa le aziende del settore dell’Energia del vento- stima che entro il 2020 – cioè fra dieci anni – la produzione potrà raggiunge al massimo 16mila megawatt. Che senso ha quindi – se non quello di puntare a una spaventosa speculazione – presentare domande per una quantità di energia cinque volte superiore? Il mercato dell’eolico è anche e soprattutto un mercato di carta, il mercato dei famigerati “certificati verdi”, che possono essere comprati dalle grandi aziende al piccolo produttore se queste grandi aziende non hanno prodotto, di loro, la percentuale di energia rinnovabile prevista dalla legge”.

Secondo l’Authority per l’Energia “nel solo 2008 il Governo ha sborsato 1.230 milioni in certificati verdi – pagati grazie all’addizionale sulle nostre bollette – e che la metà di questa somma è stata tirata fuori per rimborsare un «eccesso dell’offerta»”. Cirillo prova a tradurre: “Ecco cosa vuol dire: che si produce più energia di quella che si vuole immettere o si riesce a immettere e che questo surplus viene comunque pagato. E ovviamente le nostre bollette restano le più care d’Europa. Ci sono studi recenti anche sui posti di lavoro, ventottomila nell’eolico nel solo 2008. Considerando che i sussidi erogati sono stati pari a 2,3 miliardi di euro ogni posto di lavoro creato è costato 55mila. Un altro calcolo: comprendendo tutte le energie rinnovabili- quindi anche il fotovoltaico, si calcola che un nuovo posto di lavoro venga a costare almeno sette volte di più rispetto all’industria. C’e da rimanerci seppelliti sotto questa valanga di cifre. Se non ci fosse da rimettere insieme, ancora, alcune tessere del mosaico. A cominciare dagli incentivi sulla produzione di energia, garantiti per quindici lunghi anni come le pale e i più alto d’Europa come come le bollette. Partiamo dal fatto che un kilowatt di energia al povero cittadino costa oggi 6,5 centesimi. Ebbene, chi produce eolico ne intasca intorno al doppio – dipende dai valori un poco oscillanti della Borsa elettrica- e chi invece si butta sul fotovoltaico, che poi è la vera nuova inesplorata – può arrivare a cinque sei volte il valore iniziale, intorno ai 39-40 centesimi di euro. Il nostro Governo, in estate, ha approvato le linee guida di questo settore”.

Il “business” si intreccia poi con la politica, che si dovrebbe occupare della sua regolamentazione: “Ma perché il Far West dell’eolico conosca uno stop, ci vogliono almeno i piani regionali, tutti ancora da approvare, attesi con un eccesso di ottimismo entro la fine dell’anno. Per ora, chi si alza per primo mette la pala. Per sfuggire persino alla Valutazione di impatto ambientale, tedeschi, spagnoli e americani hanno già scoperto il trucco: spaccano un progetto di parco eolico in quattro-cinque spezzoni, scendono sotto la soglia prevista, e così se la cavano con una semplice, unilaterale Dichiarazione di impatto ambientale al comune che li ospita. Non c’è piano regolatore da rispettare, c’è solo da avvicinare il famoso “sviluppatore” in loco, che ha già scelto l’area, ha già valutato i vincoli paesaggistici e soprattutto ha già contattato gli amministratori locali. E comincia così il valzer del terreni scelti, quello sì, questo no, per distese infinite come solo il nostro Appennino regala. Ma la gente si ribella. Contro i parchi eolici spuntano comitati a ogni piazza, a ogni tavolino di bar, a Nardò, a Mazara, a Cosenza, a Crotone, a Otranto. E con i comitati spuntano le inchieste delle magistratura. A parte quella famosa aperta in Sardegna – quella di Flavio Carboni, per intenderci – è tutto un fiorire di nuovi fascicoli: ancora a Crotone, a Sant’Agata di Puglia, in Molise, a Trapani, dove allo “sviluppatore” Vito Nicastri, re del vento di Sicilia e Calabria e ritenuto longa manus del boss Matteo Messina Denaro, hanno sequestrato un patrimonio di 1.5 miliardi. E’ un mare di sporco che avanza, non se ne vede la fine”.

Nella seconda parte dell’inchiesta, il giornalista passa a occuparsi di casi specifici, in particolare degli impianti costruiti tra Campania e Molise: “La trincea è qui, a Porta Tammaro, lungo la statale per Benevento, una fettuccia dritta dritta, con il Matese che guarda bonario da una parte e le alture che portano a Campobasso dall’altra. Se gli affari delle pale passano anche qui, allora è finita, allora sarà il caso, per l’intero Molise, di rassegnarsi: alle royalties che servono per fare campagna elettorale, agli impianti venduti a milioni di euro prima ancora di entrare in funzione, alle infiltrazioni della criminalità organizzata. Tante torri devono ancora venir su, tanti progetti aspettano di essere approvati. Ma ancora prima che le pale spuntino, stanno già avvelenando la vita di questa gente, ne stanno rivoluzionando gli stili di vita, stanno suscitando gli appetiti più biechi”.

La trincea è qui, spiega Cirillo, “perché qui ci sono le rovine di Altilia, una magnificenza di resti sannitici e romani, e anche di caseggiati settecenteschi da togliere il respiro, che se solo si sapesse in giro per il mondo ci sarebbero già i giapponesi e gli americani a fare la fila. Perché qui, nel Terzo secolo Avanti Cristo, il console Lucio Papirio Cursore vinse una battaglia campale contro le popolazioni locale, una battaglia con 7.400 morti, e conquistò definitivamente queste terre per Roma. La trincea è qui, perché da queste colonne preziose, da questo teatro unico al mondo – unico perché prevede anche un’uscita speciale all’esterno per il pubblico – dovrebbe essere goduta presto la vista di sedici pale eoliche, a una distanza di nove-dieci chilometri, sulle colline di San Giuliano del Sannio e Cercepiccola, comuni sperduti eppure bellissimi anche loro, puliti, ricchi di storia, ricchi ancora di vita”.

Il caso emblematico è, secondo Cirillo, quello di Sepino, paese in provincia di Campobasso: “Sepino è la bandiera di questa battaglia nonostante non sia proprio quella messa peggio. Ma i casus belli, si sa, nascono per caso, sono spesso fatti di simboli, di suggestioni, di coincidenze. E allora anche il solo fatto che le pale siano visibili lassù, anche a una distanza non proprio incombente, viene considerato uno scempio. Non da una, ma da novantanove associazioni ambientaliste raggruppate in una Rete e decise a vendere cara la pelle, anzi la vista dalle rovine di Sepino. Sepino non è quella messa peggio, perché è tutto il Molise, e in maniera molto più traumatica e molto più visibile, che sta facendo i conti con questa nuova follia. Innanzitutto Pietrabbondante, in provincia di Isernia, dove a un paio di chilometri dal teatro sannitico meglio conservato al mondo, dovrebbero spuntare una decina di pale. Sì, proprio dove si riunivano i Marsi, i Peligni, gli Irpini e i Sanniti stessi, una volta l’anno, per eleggere il capo di quella federazione ante litteram delle popolazioni del nostro Sud. E dopo Pietrabbondante, Frosolone -sempre in provincia di Isernia- e poi via via verso il mare, dove le pale ci sono già, dove hanno bussato e gli è stato subito aperto, a Lucito, a San Martino in Pensilis, a Ururi. Pale, pale, e ancora pale, che di notte fanno certe lucine rosse da mettere veramente paura. Per avere un’idea di quello che sta accadendo bisogna considerare che il Molise – terra bellissima e incontaminata prima di questo veleno iniettato lentamente e senza scrupoli – ha 4.400 chilometri quadrati di territorio e 136 comuni. Ebbene, 90 di questi comuni sono toccati da progetti di pale eoliche realizzate o da realizzare, e gli altri 40 c’è da temere che presto lo saranno”.

E nel Molisano è scoppiata la polemica, che si è spostata sul piano politico, come racconta Cirillo: “E’ un assalto. Secondo il consigliere regionale del pd Michele Petraroia, un po’ la guida spirituale della Rete ambientalista nata attorno a Sepino, «sono già 436 le torri installate e addirittura potrebbe essere anche fra le 2.500 e le 5.000 quelle richieste». I dati che offre l’assessore regionale all’Ambiente Salvatore Muccilli si discostano, ma non di moltissimo: a tre mesi fa, 373 torri eoliche installate, 155 che hanno già ricevuto il placet del suo assessorato, quindi a buon punto nell’iter, e 1.340 domande da esaminare («Ma, a occhio, moltissime le bocceremo»). Mettono paura anche altri calcoli. Secondo Petraroia, già oggi «con la sola energia eolica delle torri installate il Molise produce il 72 per cento dell’energia di cui ha bisogno». Se alle pale «aggiungiamo il termoelettrico, l’idroelettrico e il fotovoltaico, siamo al 110 per cento». Quindi, di cos’altro avrebbe bisogno questa regione? Ma se addirittura proiettiamo le pale richieste, sempre secondo Petraroia, «il Molise arriverebbe a produrre quattro volte l’energia di cui ha bisogno». Per farne che? Per immetterla dove, se la rete non è neanche pronta a convogliarla? Lo stesso assessore Muccilli, che è un uomo pratico, un imprenditore prestato alla politica, non si nasconde dietro un dito: «Dobbiamo aggiornare il piano energetico regionale che è vecchissimo, dobbiamo recepire le linee guida del governo pubblicate un mese fa sulla Gazzetta, dobbiamo stabilire dei limiti alla compensazioni che le aziende offrono ai comuni. Eh sì, non vorrei che qualcuno pensasse di pagarci la campagna elettorale con quei soldi…». Muccilli è arrivato al punto. Perché l’eolico funziona così. Bussano scatenati alle porte di questi piccoli comuni gli “sviluppatori”, questi mezzani delle pale, che a nome di piccole, piccolissime società, “esseerreelle” con diecimila euro di capitale, vanno in cerca dei terreni e contrattano l’autorizzazione. Al sindaco offrono «ristori ambientali», cioè compensazioni in denaro, cioè royalties, intorno ai 90-100mila euro l’anno , con qualche piccola percentuale sull’energia che verrà prodotta. Anche a non pensar male, sono soldi preziosi per piccole amministrazioni allo stremo. E non tutti sono come il sindaco di Sepino, Antonio Mosca che si vanta di essere un ex democristiano, ma che soprattutto proclama: «Io non sono contro l’eolico selvaggio, sono proprio contro l’eolico. Io, il mio territorio non lo svendo e neppure lo vendo»”.

Infine Cirillo spiega quale sarebbe la procedura da seguire e quali sarebbero stati i modi utilizzati per aggirarla: “E dall’assessore Muccilli arriva la conferma che il business si scatena anche se la pala ancora non gira. «Sa quanto può valere un progetto approvato? Cioè il solo placet che la piccola società decide di rivedersi alla multinazionale dell’energia? Anche cinque milioni di euro…». Ecco l’arcano, c’è un passaggio significativo di denaro ancora prima del “certificato verde” vero e proprio, di quell’assurdo strumento di scambio, cioè, che consente ai piccoli di speculare e ai grandi di mettersi in regola con Kyoto, ma che funziona solo quando l’energia si comincia effettivamente a produrre. Le ultime notizie non sono buone affatto. Il Consiglio di Stato, affrontando la questione di Sepino, in una sentenza emessa l’8 ottobre scorso ma resa pubblica solo qualche giorno fa, ha deciso che la Essebiesse quelle pale può metterle eccome, che ha tutte le carte in regola per farlo, tutte le autorizzazioni prevista e concesse via via nel tempo. Il fatto che la Soprintendenza ai Beni Ambientali del Molise, nella primavera scorsa, abbia posto nuovi vincoli, sentenzia con buona ragione il Consiglio di Stato, non può inficiare la validità di tutta quella procedura. Si rimane così aggrappati a un filo, almeno per Sepino perché per il resto del Molise pendono una cinquantina di ricorsi. Si rimane aggrappati a una sentenza che il Tar del Molise dovrebbe pronunciare fra un mese. Ragiona l’avvocato Matteo Iacovelli, che rappresenta l’Amministrazione provinciale di Campobasso costituitasi in giudizio: «Il Tar potrebbe anche dichiarare prescrittivo, al di là di tutte le autorizzazioni già concesse, l’articolo 9 della nostra Costituzione, quello che sancisce la tutela del paesaggio»”.

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Alberto Francavilla