GELA – La riconversione dell’impianto Eni di Gela ha avuto come primo impatto la salvaguardia di centinaia di posti di lavoro. Ma la riconversione dell’impianto ha anche una valenza strategica per la produzione di energia, perché permette a Eni di avvicinarsi agli standard che l’Europa (e il mondo più in generale) sta cercando di stabilire nel settore (si pensi ad esempio alla cosiddetta raffinazione green).
L’accordo di Eni per la riconversione green della raffineria di Gela
Il Piano di sviluppo presentato da Eni coniuga la massima salvaguardia possibile dell’occupazione con la realizzazione di iniziative volte a garantire un futuro economicamente sostenibile alle attività industriali sul territorio gelese e a promuoverne di nuove. Il Piano di sviluppo di Eni implica investimenti sul territorio per oltre 2 miliardi di euro, cifra estremamente rilevante. Inoltre la riconversione della raffineria di Gela in green refinery avrà importanti risvolti ambientali e conferma l’impegno di Eni per un futuro di energia sempre più sostenibile (grazie a una tecnologia proprietaria dell’azienda). Eni ha già realizzato con successo iniziative simili (Porto Marghera, Porto Torres).
L’ulteriore valorizzazione delle attività di esplorazione e produzione in Sicilia coincide con la più importante iniziativa industriale offshore in Italia.
Gli analisti finanziari di Banca Akros e SOCIETE GENERALE GROUP giudicano positivamente il piano di riconversione della raffinazione e di sviluppo dell’E&P in Sicilia.
Lo scenario della raffinazione
L’industria della raffinazione in Europa è entrata in una fase di profonda trasformazione determinata dalla contestuale riduzione dei consumi e dalla crescente pressione competitiva internazionale. Inoltre, le crisi geopolitiche hanno determinato la riduzione delle disponibilità di alcuni greggi chiave, in particolare del mercato Mediterraneo.
Con una domanda europea in calo di oltre 2 Mb/g dal picco del 2006 e bassi tassi di utilizzo della capacità, l’industria della raffinazione europea è caratterizzata da una situazione di strutturale debolezza, solo in parte alleviata dalle cospicue chiusure dell’ultimo quinquennio (circa 2 Mb/g) che hanno ridotto di oltre il 10% la capacità dell’area. Le raffinerie europee sperimentano crescenti pressioni competitive da parte degli operatori americani, mediorientali e russi avvantaggiati da minori costi energetici e di approvvigionamento, maggiori economie di scala e maggiore integrazione con la petrolchimica. Ulteriori riduzioni di capacità consentiranno un progressivo riassorbimento della capacità in eccesso, con conseguente ripresa dei tassi di utilizzo che, tuttavia, in Europa e nel Mediterraneo in particolare, difficilmente ritorneranno sui livelli pre-crisi.
L’industria della raffinazione italiana vive una crisi ancor più grave rispetto a quella europea per diverse ragioni: l’Italia è esportatrice netta di prodotti petroliferi (nel passato product supplier del Mediterraneo) e, se tale caratteristica fino a qualche anno fa ha rappresentato un punto di forza del sistema industriale italiano, nel mercato odierno si trasforma in un handicap. A differenza dei principali partner UE, l’Italia è nella posizione unica di esportatore non solo di benzina ma anche di gasolio. Oggi si ritrova stretta tra due tenaglie: da un lato i tradizionali outlet per la benzina europea si restringono (riduzione export verso USA e Medio Oriente), dall’altro cresce la competizione internazionale per soddisfare il deficit di gasolio europeo.
Cresce l’export da Russia, Golfo USA e Medio Oriente, che presentano vantaggi competitivi verso l’Italia; nonostante una riduzione di capacità di oltre il 20% dal 2006 a oggi, le chiusure non hanno compensato il vero e proprio tracollo dei consumi interni che hanno evidenziato una riduzione pari al doppio di quella europea (nello stesso periodo, -29% vs -14% Europa OCSE). Questo significa che in questi anni il Paese, già esportatore netto sia di benzina che di gasolio, ha accresciuto il suo surplus di prodotti anziché ridurlo.
La raffinazione europea è inoltre alle prese con le sfide lanciate dall’Unione Europea. La politica energetica dell’Europa ha infatti due obiettivi primari: la lotta al cambiamento climatico attraverso la riduzione delle emissioni di CO2 e la riduzione delle importazioni di energia attraverso l’investimento nelle rinnovabili, la diversificazione delle fonti e il risparmio energetico.
Per i prodotti petroliferi questo si traduce in una progressiva sostituzione del loro impiego con fonti dal minore impatto ambientale come il gas e, in prospettiva, con tecnologie alternative come i veicoli elettrici nei trasporti.
Anche i biocarburanti sono considerati dall’UE uno strumento strategico di policy e già oggi gli Stati membri devono impegnarsi affinché entro il 2020 il 10% dei consumi di energia del settore trasporti possa essere soddisfatto da fonti rinnovabili.
Biocarburanti come l’etanolo e il biodiesel, che oggi si ricavano dalla lavorazione di materie prime agricole come la canna da zucchero e gli oli vegetali, saranno in futuro prodotti a partire da materiali di scarto e microalghe, tecnologie con un’impronta ambientale estremamente contenuta ma non ancora mature da un punto di vista commerciale.
Raffinazione europea, una crisi grave e strutturale
Dal 2010 è aumentata la competizione con le raffinerie del Medio Oriente, Russia e Nord America (minori costi variabili, maggiore integrazione con l’upstream, vantaggi logistici, costi lavoro/fissi, dollaro vs euro)
Inoltre è aumenta la pressione sulle importazioni di gasolio:
• da parte degli Stati Uniti: +95% dal 2013 vs 2008, attestandosi ormai ad una quota pari al 25% dell’import europeo
• da parte russa: approvvigiona tra il 35% ed il 41% delle importazioni di gasolio europeo tra il 2008 ed il 2013, grazie ai grandi investimenti nella capacità di raffinazione (è agevolata da una fiscalità che avvantaggia esportazioni di gasolio e l’export dei prodotti rispetto al greggio)
• da parte dell’India: le importazioni di gasolio in Europa sono salite dal 2008 al 2013 del 400%, assestandosi ad oggi ad una quota del 4% dell’import europeo
Il trend di esportazione di benzine dall’ Europa verso gli Stati Uniti si riduce drasticamente di circa il 33% dal 2008 al 2013, e l’America diventa un competitor verso nuovi mercati africani (le esportazioni europee verso l’Africa sono raddoppiate dal 2008 al 2013).
In Europa sono state chiuse 17 raffinerie su 98 tra il 2009 e il 2014; la riduzione della capacità, pari a 90 Mton/anno, è stata del 12%; nonostante i tagli, nel continente persiste una capacità in eccesso di 120 Mton/anno, pari a circa il 30% della capacità totale