ROMA, 13 GIU – Addio ad investimenti da 40 miliardi di euro, addio ai progetti per 4 nuove centrali e addio a risparmi nel costo della generazione di elettricita' pari al 20%. Il si' al quesito referendario sul nucleare, con cui la maggioranza degli italiani ha bocciato per la seconda volta l'energia atomica entro i confini nazionali, si traduce nell'abbandono definitivo del programma nucleare italiano, promosso dall'allora ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, sin dal 2005 e portato poi avanti dal suo successore, Paolo Romani.
Gli obiettivi del governo partivano da un aumento dei consumi nazionali, che dai 350 TWh del 2008 dovrebbero salire a circa 400 al 2020: di questi, circa il 25% avrebbe dovuto essere prodotto con l'atomo, per una potenza richiesta di circa 13mila MWe, vale a dire 8 unita' (quattro centrali con due reattori ciascuna) da 1.600 MWe l'una.
A realizzarne la meta' sarebbe stata l'Enel, che in accordo con i partner francesi di Edf, prevedeva la costruzione di almeno 4 unita' su 2-3 siti (pari a 6.400 MWe) in tecnologia di terza generazione Epr, con la posa della prima pietra entro il 2013 e l'entrata in esercizio della prima unita' nel 2020. La realizzazione degli impianti, solo considerando l'impegno di Enel-Edf, sarebbe stata pari a 18-20 miliardi, che quindi sarebbero diventati circa 40 per l'intero programma nucleare. Stime del gruppo elettrico italiano avevano dettagliato i costi in 5 miliardi per la prima unita', 4,7 per la seconda, 4,3 per la terza, 4 per la quarta, con ricadute occupazionali per poco meno di 3.500 persone per ogni unita'. A fronte di questo impegno, i benefici sul piano economico sarebbero stati, secondo le attese, di uno risparmio del 20% sui costi di generazione; su quello ambientale, invece, la produzione di 100 TWh l'anno avrebbe fatto ridurre le emissioni di circa 35 milioni di tonnellate l'anno.
