BIRMINGHAM (ALABAMA, USA) – Ha trascorso più di metà della sua esistenza, i migliori anni della sua vita, aspettando la morte, per un reato che non aveva mai commesso. Dopo 30 anni da innocente nel braccio della morte, Anthony Ray Hinton, 57 anni, è finalmente un uomo libero.
Arrestato nel 1985 con l’accusa di duplice omicidio e per questo condannato a morte, è tra i detenuti in Alabama quello che ha passato più tempo nel braccio della morte, con l’angoscia di venire giustiziato da un giorno all’altro. La sua condanna fu emessa tenendo presente quasi esclusivamente una congettura: quella secondo cui una pistola trovata in casa della madre fosse l’arma dei 2 delitti.
Hinton, che si è sempre professato innocente, è stato vittima di una giustizia fatta di due pesi e due misure. Contro di lui ha giocato il colore della sua pelle (è afro-americano) e un sostituto procuratore accecato dai pregiudizi razziali che ha impedito che al processo venissero presentate prove che lo avrebbero scagionato.
Tutto è cominciato con una rapina a due fast food nella zona di Birmingham e l’omicidio dei due manager con dei colpi di pistola. Nessun testimone per la polizia, né impronte digitali per risalire al colpevole. Era il 1985 e a luglio dello stesso anno avvenne un’altra rapina in un altro ristorante e Hinton venne arrestato dopo che un gestore del ristorante lo identificò durante un confronto.
Le manette sono scattate per lui nonostante al momento della rapina si trovasse a lavoro a decine di km di distanza dalla scena del crimine. La situazione è precipitata quando gli agenti sequestrarono una vecchia pistola di proprietà della madre di Hinton che, secondo il parere forense, era quella usata in tutti e tre i crimini. Il colpo di grazia arriva infine quando l’accusa, con una chiara storia di pregiudizi razziali, durante il processo affermò che Hinton poteva essere giudicato colpevole e etichettato come “il male”, solo in base al suo aspetto.
Hinton fu condannato per non avendo precedenti e nonostante il test con la macchina della verità lo scagionasse. Una battaglia, quella per dimostrare la sua innocenza, la cui svolta è arrivata solo lo scorso anno, quando in sua difesa è intervenuta una non profit che si occupa di ingiustizie che ha chiesto e ottenuto che il processo fosse riaperto chiamando a testimoniare alcuni esperti balistici secondo i quali i proiettili ritrovati sulla scena del crimine non potevano essere messi in relazione con la pistola di Hinton.
In tribunale non si è mai arrivati: il caso è stato respinto dopo i test balistici. E giovedì mattina, le porte del carcere di Birmingham si sono aperte per lui, restituendogli l’onore e la libertà, ma non gli anni perduti in galera. Dopo aver ringraziato Dio di fronte alla stampa Hinton si è rammaricato di aver perso 30 anni della sua vita, con la paura di essere giustiziato per qualcosa che non aveva fatto.
“Tutto ciò che avrebbero dovuto fare – ha detto – era esaminare la pistola. Ma quando pensi di essere potente e al di sopra della legge, tu non rispondi a nessuno. Tutti quelli che hanno avuto un ruolo nel mandarmi nel braccio della morte dovranno risponderne di fronte a Dio”.