ROMA – Un bambino con tratti e abbigliamento occidentali, di circa 7 anni, e in mano la testa mozzata di un “nemico”, uno dei tanti civili martoriati dall’Isis. Un bambino “normale”, almeno agli occhi di noi occidentali, con il cappellino e una maglietta blu, con la scritta “Polo Kids”, con i pantaloncini a righe che tutti i bambini indossano d’estate, magari in vacanza. La sua “vacanza”, l’estate di questo bambino, è a Raqqa, in Siria, a combattere i “nemici” dell’Isis a suon di colpi di kalashnikov e di fosse comuni. Non direttamente, magari, ma al fianco del papà.
Questo bambino è infatti il figlio di Khaled Sharrouf, australiano di cittadinanza, siriano d’origine, partito alla volta della terra d’origine per combattere con l’Isis, il movimento islamico fondamentalista che sta terrorizzando l’Iraq e la Siria. Ed è proprio da Raqqa che Khaled ha twittato alcune foto del figlio, come farebbe un padre orgoglioso, e nel servizio fotografico via social network il bambino sorride, sia che abbia bermuda e teste mozzate in mano, sia che indossi una mini-mimetica e una pistola in mano.
Sharrouf ha scontato quasi quattro anni di carcere per aver partecipato alla preparazione di un attentato terroristico nel 2005 a Sydney, ed è fuggito dall’Australia usando il passaporto del fratello. E’ ora ricercato dalla polizia federale australiana per crimini di guerra in Siria, compresa l’esecuzione di un ufficiale iracheno catturato nel deserto fuori dalla città di Mosul.
Il primo ministro australiano Tony Abbott, in missione nei Paesi Bassi, ha detto che le immagini sono un altro esempio delle “orribili atrocità” di cui il gruppo è capace, mentre il segretario Usa alla Difesa, Chuck Hagel, appena giunto in Australia con il segretario di stato John Kerry per i colloqui bilaterali Ausmin, ha denunciato il gruppo come “una minaccia contro il mondo civilizzato”.
Il presidente dell’Associazione Musulmana Libanese Samier Dandan si è detto profondamente sconvolto dall’immagine, che ha bollato come “il gesto di un folle” e ne ha preso fermamente le distanze in nome di tutta la comunità musulmana in Australia. Il governo australiano stima che fino a 150 australiani combattono la Jihad all’estero, essenzialmente in Siria e in Iraq.