Isis, armi di precisione di Usa, Russia, Cina, Europa FOTO

DAMASCO – Fucili di precisione russi, pistole automatiche cinesi, missili anti-carro dell’ex Unione Sovietica e sistemi di artiglieri americani: sono le armi di cui sono dotati i terroristi che combattono per il cosiddetto Stato Islamico. 

A testimoniarlo sono le fotografie diffuse dagli stessi jihadisti (e quindi da noi pubblicate con il beneficio del dubbio), che li mostrano a combattere con dispositivi tutt’altro che improvvisati. Molti sono entrati nelle disponibilità dell’Isis o Daesh con l’occupazione dell’Iraq, dove armi abbandonate abbondano.

Nelle foto si vedono i miliziani durante una battaglia all’aeroporto militare siriano di Deir Ezzor: si vedono uomini con armi automatiche e razzi, molti dei quali di fabbricazione occidentale.

Secondo una denuncia della organizzazione non governativa Amnesty International, soprattutto in Iraq i miliziani si sono impossessati di un vero e proprio arsenale di fabbricazione britannica, americana, cinese, russa, francese e tedesca. Tra i reperti individuati dall’Ong ci sarebbe persino un fucile britannico della Prima Guerra Mondiale, un Enfield Pattern del 1914.

Nei giorni scorsi due società di analisi americane avevano denunciato che l’Isis può contare su entrate mensili per 80 milioni di dollari, in gran parte da tassazioni e vendite di petrolio e gas, mentre il numero dei foreign fighters nelle sue file è quasi triplicato negli ultimi 18 mesi.

 

“A differenza di Al Qaeda, l’Isis non dipende dal denaro dei donatori stranieri”, afferma Columb Strack, della società di analisi IHS, quotata alla Borsa di New York, sottolineando appunto che l’organizzazione jihadista beneficia ormai di entrate mensili per 80 milioni di dollari. Di queste, il 50% proviene dalle tasse sui servizi e sulle attività commerciali, agricole e industriali – su cui viene imposta un’aliquota secca del 20% – e il 43% dalla vendita di petrolio e gas dei giacimenti sotto il suo controllo in Siria e Iraq. Solo il restante 7% proviene da donazioni o attività criminali come il commercio di droga e antichità.

Oltre ad essere ormai economicamente indipendente, l’organizzazione di Abu Bakr al Baghdadi può contare su un numero di reclute straniere che cresce in misura esponenziale. Il centro studi per la sicurezza Fouran Group, che fornisce consulenze a governi e organizzazioni multinazionali, afferma che è quasi triplicato il numero di foreign fighters arruolatisi nelle file dell’Isis in Siria negli ultimi 18 mesi, raggiungendo una cifra tra i 27.000 e i 30.000, di cui 5.000 provenienti dall’Europa.

In uno studio precedente realizzato nel giugno del 2014, quando fu proclamato il Califfato, gli stranieri arruolati nello Stato islamico risultavano essere 12.000. I Paesi da cui provengono i foreign fighters sono ben 86. In testa è la Tunisia, con 6.000 reclute, a cui seguono l‘Arabia Saudita con 2.500 e la Russia con 2.400.

Inoltre, la media di coloro che provengono dall’Occidente e che in seguito decidono di rientrare nei loro Paesi si aggira tra il 20 e il 30 per cento, con i pericoli immaginabili per la sicurezza. Amnesty International, intanto, sottolinea in un rapporto che l’Isis ha potuto dotarsi di un “arsenale vasto e letale” a partire dall’Iraq, grazie alla “mancanza di controlli sugli immensi flussi di armi verso questo Paese nel corso di decenni”, in particolare durante l’invasione anglo-americana.

Gli uomini di Al Baghdadi sono così riusciti ad entrare in possesso di armamenti di fabbricazione americana, russa, cinese ed europea, compresi sistemi antiaerei portatili, missili anti-tank e veicoli blindati, oltre a fucili d’assalto Kalashnikov russi e M16 americani.

 

Published by
Maria Elena Perrero