Non è meraviglioso che il nuovo sindaco di New York vada al giuramento in metropolitana, che alcuni suoi colleghi italiani si rechino in ufficio stantuffando sui pedali, che il presidente del Consiglio decolli per le vacanze con l’aereo di linea e che sempre più politici lascino in garage le auto blu? Certo che lo è. È anche retorico e ipocrita, perché nella maggioranza dei casi il cambiamento non è dettato da convinzioni personali, ma da un adeguamento furbastro al vento dei tempi, per non urtare la suscettibilità di sudditi impoveriti e incolleriti. I quali mostrano di gradire il buffetto magnanimo del sovrano, la mancata ostentazione del suo potere che permette alle maestranze di esclamare fantozzianamente: com’è umano, lei!
I giornalisti – col sottoscritto in prima linea – stanno fornendo un contributo notevole alla creazione del nuovo mito: le cronache si gonfiano di squittii estasiati ogni volta che Obama o un sottosegretario fanno la coda al fast food. Niente di male. Ancorché dettato da bieca convenienza, un comportamento virtuoso è pur sempre preferibile all’antica tracotanza. Però l’incenso che avvolge questi gesti tutto sommato normali rischia di farci smarrire l’essenziale. Un politico merita il posto che occupa, onori compresi, non perché si limita a fare le cose che fanno tutti, ma quando riesce a realizzare quelle per cui è stato messo lì. Ad andare al lavoro in bicicletta siamo capaci anche noi. A loro si chiede di fare pedalare il Paese.