ROMA – Riunito dalle 9 di mattina alle 9 di sera, il Pdl non ha saputo, non ha voluto, non ha potuto deliberare l’espulsione dal partito di Franco Fiorito, ex capogruppo alla Regione Lazio, indagato dalla procura di Roma per 109 bonifici dirottati sui suoi conti correnti dai fondi Pdl. Alla fine la perquisizione della Finanza negli uffici della Regione e a casa di Fiorito ha messo l’ex sindaco di Anagni con le spalle al muro e lo ha costretto ad autosospendersi, nominando come avvocato Carlo Taormina.
Mossa che non risolve i problemi pidiellini. Sintomatico che dopo 12 ore di riunione nella sede romana di via dell’Umiltà , nulla siano riusciti a decidere i vertici del partito, fra i quali il coordinatore regionale Vincenzo Piso, il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto, il vicepresidente della Commissione Ue Antonio Tajani e il coordinatore nazionale Denis Verdini.
Renata Polverini è furiosa per l’empasse del Pdl, teme per il suo futuro politico regionale e nazionale e ha fatto la voce grossa, minacciando le dimissioni per la seconda volta in tre anni se non si “azzera tutto”. Uscendo dalla riunione non ha nascosto il suo stato d’animo, marcando la sua distanza dal partito: “Al momento il Pdl non è stato in grado di concludere una riunione che prosegue da dodici ore. Riunione alla quale io, ovviamente, non ho partecipato. Non andrò più a questi vertici: aspetto l’esito del Pdl, poi deciderò cosa fare”. Mentre Fiorito, uscendo dallo stesso portone, dichiarava trionfante: “Ho fornito dei chiarimenti. Se ho preso i soldi? Assolutamente no, altrimenti ora sarei in galera”.
In ballo c’è la Regione Lazio, un’altra roccaforte che potrebbe crollare, un altro centro di potere che verrebbe meno per un partito in crisi. Ma la soluzione non è semplice, perché sullo spreco di soldi pubblici e sulla mala gestione dei fondi non c’è un componente del Pdl che possa chiamarsi fuori. La paura è che la faida interna fra ex An ed ex Forza Italia si traduca in un “muoia Fiorito con tutti i pidiellini”, una spirale di dossier e controdossier che distruggerebbe l’immagine di tutto il Pdl.
Un antipasto si è avuto in questi giorni. Fiorito, sentendosi accerchiato, ha consegnato al coordinatore regionale Piso un pacco di ricevute e fatture che inguaiano altri consiglieri Pdl e in particolare l’attuale capogruppo e suo rivale, il viterbese Francesco Battistoni. Secondo quanto riporta l’edizione romana del Corriere della Sera, si tratta di rendiconti di spese che nulla hanno a che vedere con l’incarico politico:
Ostriche al ristorante (consigliere Beraudo), cravatte per oltre mille euro (Miele), feste in stile antica Roma «e donnine nude» (De Romanis), prestigiosi servizi fotografici (Cappellaro), casse di vini pregiati sotto Natale (ancora Miele) e via elargendo. A Battistoni sono riconducibili spese per circa 300mila euro, tra cene di gruppo, noleggi auto, pc, blackberry, buoni benzina, francobolli, promozione del partito e comunicazione. Una ripartizione che sarebbe al centro della fronda che ha estromesso Fiorito a fine luglio e sulla quale i magistrati hanno chiesto chiarimenti al suo successore.
D’altro canto l’ex capogruppo non può cavarsela con un “così fan tutti”. Che tradotto in un linguaggio più “Fiorito”, suona così (lo riporta Merlo su Repubblica): “Nun ci avevate l’onestà che ve passava per cazzo quando ve pagavo er soggiorno con l’amante”. Intanto, secondo la ricostruzione del Corriere
Nelle ore in cui veniva sfiduciato, Franco Fiorito apriva almeno altri due conti correnti intestati al Pdl. Due sono in filiali Monte dei Paschi e già bloccati. Il 25 luglio in via del Corso, rimasto vuoto, e in via della Pisana, con 60mila euro. Non ha fatto in tempo a usarli, l’ex capogruppo regionale, ma ha reso ancora più intricato il quadro contabile del partito.
Nelle stesse ore in cui si scopriva questa contabilità parallela e i vertici del partito litigavano in via dell’Umiltà , complicava ulteriormente le cose la dichiarazione spontanea di Battistoni, che si è presentato alla procura di Roma e ha parlato per due ore e mezzo con i pm Alberto Pioletti e Alberto Caperna. Riporta sempre il Corriere:
Ai magistrati Battistoni ha presentato la revisione dei conti del gruppo pidiellino alla Pisana, affidata al commercialista Roberto Valentini, revisore dei conti della provincia di Viterbo e perito del tribunale del capoluogo della Tuscia. Una ricostruzione difficile, secondo gli avvocati Pier Francesco Bruno ed Enrico Valentini (fratello del commercialista), per la totale reticenza di Fiorito – «neanche rispondeva al telefono» – a fornire indicazioni utili alla ricostruzione dei movimenti bancari. Una giungla di conti correnti italiani ed esteri (quattro aperti in Spagna, uno alle Canarie) e di spese senza giustificativo, usando la carta di credito del partito per le spese personali.
Non si tratta solo di una rivalità rustica e campanilistica fra il ciociaro Fiorito (detto “er Batman” da quando cadde da una moto ferma) e il viterbese Battistoni, o di divergenze ideologiche tra l’ex forzista della Tuscia e l’ex missino del Frusinate, che manda gli auguri di capodanno con il motto della X Mas (“Memento audere semper”) e da sindaco di Anagni fece mettere due targhe in Consiglio comunale dedicate alla marcia su Roma e a Mussolini. Dietro Fiorito c’è Alemanno e una larga fetta di ex An, dietro Battistoni gli ex Forza Italia capeggiati da Tajani.
Due fazioni che hanno affidato per oltre due anni all’ex capogruppo-tesoriere i generosissimi rimborsi elettorali che la Regione Lazio elargisce ai partiti. Non ci si può stupire allora se i rendiconti fanno morti e feriti, se si pensa che solo una parte è costituita dai 211.000 euro a consigliere che spettano a ogni sigla rappresentata in Regione. Il Pdl ha 17 consiglieri: fanno 3 milioni 587 mila euro ogni anno, e non è tutto. Scrive Francesco Merlo su Repubblica:
Non esiste l’obbligo di pubblicare i bilanci dei gruppi consiliari del Lazio. I rendiconti sono approvati da un Comitato di controllo contabile che è presieduto da un consigliere del Partito democratico che – ops ! – non si è mai accorto di nulla. Poi vengono consegnati al presidente del Consiglio regionale, che si chiama Mario Abbruzzese e sua volta mantiene 18 collaboratori e spende 3,4 milioni per il personale
Proprio sulla questione delle spese e degli sprechi in Regione si è assistito a un altro conflitto interno, quello fra la governatrice Polverini e il presidente del Consiglio regionale Mario Abbruzzese. La Polverini vuole una legge per controllare di più e rendere più trasparente la gestione dei soldi che la Regione assegna ai partiti, affidando la vigilanza sui bilanci al Segretariato generale e facendo una convenzione con la Guardia di Finanza. Abbruzzese le ha proposto una politica di tagli (azzeramento delle consulenze, riduzione delle Commissioni da 19 a 12, riduzioni di fondi e stipendi ai consiglieri) che però non cambia lo status quo, ovvero quello in cui i partiti sono sostanzialmente di usare a loro piacimento i ricchi fondi assegnati loro.
Non è, come sembrerebbe, una guerra fra difensori della “casta” e duri e puri anti-casta. La contesa è fra chi pensa di avere un futuro politico davanti a sé e chi preferisce concentrarsi sull’incasso delle opportunità che gli garantisce il presente, visto che le prospettive per il Pdl non sono delle migliori.
Ma la Polverini è sempre stata concentrata sulle sue, di prospettive. È cosciente che se non riesce a presentarsi all’opinione pubblica con un cambio di rotta almeno sulla questione dei soldi ai partiti, non le basterà certo, come spot, il non entusiasmante bilancio dei suoi due anni e mezzo al governo del Lazio.
Trenta mesi all’insegna del personalismo, delle ambizioni di una che, da segretaria di un piccolo sindacato in orbita Msi-An, l’Ugl, vorrebbe da grande prendere il posto di Silvio Berlusconi, dopo essersi messa in vetrina come governatrice regionale. Berlusconi che fu decisivo in campagna elettorale per farle prendere quei 77 mila voti in più della rivale Emma Bonino. Berlusconi decisivo nonostante la Polverini all’inizio fosse una candidata nell’orbita di Gianfranco Fini. Orbita dalla quale lei, che non difetta di fiuto politico, si sganciò velocemente. Altrettanto velocemente si liberò dell’abbraccio del Pdl, coltivando i poteri forti della Capitale (palazzinari e Vaticano) e flirtando con l’Udc. Fino a rischiare di spaccare la maggioranza, quando propose delle proprie liste civiche (Città Nuove) alle Comunali del 2011, con i suoi candidati che arrivarono al ballottaggio contro quelli del Pdl, e con Berlusconi che si mise in mezzo quando capì che la governatrice stava per prendere accordi col Pd.
Altra frizione col Pdl, con un big come il ministro dei Beni Culturali Giancarlo Galan, fu in occasione dell’approvazione del piano casa, per i detrattori (fra i quali Galan) un regalo alle lobby del cemento da sempre fortissime a Roma. Piano che poi con un emendamento fu trasformato in un “Piano casa e chiesa“, a vantaggio dell’altro potere forte romano, il Vaticano.
Ora la Polverini vuole che il partito dal quale si è sempre smarcata, il Pdl, marchi più stretto i propri uomini del Lazio, quelli che lei non riesce a tenere a bada. Ha urlato alla riunione in via dell’Umiltà , ha parlato con Angelino Alfano e chiede un intervento di Berlusconi. Ma finora lei non ha fatto nulla per impedire la catastrofe (per il centrodestra) imminente: ritrovarsi un partito commissariato (e indagato), una giunta senza maggioranza, Comune e Regione in mano al centrosinistra nel giro di 12 mesi.