ROMA – Shabtai Shavit per sette anni ha diretto il Mossad e dell’accordo sul nucleare con l’Iran non si fida: “Non credo a una parola di quel che dicono gl’iraniani. In Occidente, però, rimane un mix di naïveté e di machiavellismo che rallenta certe decisioni. Alla fine, non si potrà prescindere da un obbiettivo che è lo stesso d’Israele: fermare gli ayatollah”.
L’intervista al Corriere della Sera:
Che cosa cambia nei piani militari d’Israele?
«Niente. Perché si basano sulla prontezza di reazione e sulla sorpresa. Queste cose non vengono messe da parte perché c’è un accordo politico».
Un primo effetto, però, sono i colloqui di pace sulla Siria.
«Da Israele, non si sa per che cosa tifare. Se sia meglio che Assad se ne vada o resti dov’è. È come risposarsi: la prima moglie non la sopportavi più, ma almeno sapevi chi era».
Si prepara un’alleanza con l’Arabia e le monarchie del Golfo, scornate quanto Israele dall’accordo con l’Iran? Il nemico del mio nemico diventa mio amico…
«Non potrà mai esistere un blocco arabo alleato d’Israele. Il nemico è lo stesso, ma gl’interessi sono diversi: Israele teme l’atomica, loro l’espansionismo sciita. Forse succederanno cose utili a tutti, ma senza vere alleanze: si lavora insieme sottotraccia, mica si firmano accordi o si aprono ambasciate».
C’è uno sconfitto assoluto di questo accordo?
«Hamas. Ha sbagliato tutte le alleanze, dalla Siria all’Iran, e i tempi per uscirne. Oggi non ha un solo alleato nell’area. Deve stare immobile».
L’Egitto ha avuto un percorso tortuoso, nei rapporti con l’Iran…
«Col governo militare del Cairo, si collabora nella guerra al jihadismo del Sinai. Però non si sa mai: con la Siria, è lo scenario più imprevedibile».
E l’atomica israeliana? Non è l’ora di chiudere con la politica dell’ambiguità e ammettere che esiste?
«La politica nucleare israeliana è la stessa da quarant’anni. E sarà la stessa nei prossimi quaranta».